Regia di Edgar G. Ulmer vedi scheda film
I film di Ulmer sono come diamanti: semplici e trasparenti nello sviluppo narrativo, ma finemente sfaccettati di ambiguità. La superficie di questo racconto è come uno specchio d’acqua lievemente increspato, tempestato dello scintillio dell’innamoramento, dell’ingenuità e del sorriso tipici della giovinezza; sotto la superficie si avverte però l’inquietudine dei pensieri oscuri, delle frementi ombre del sospetto e degli incubi indecifrabili. La verità è una, che si rivela, allo stesso modo, nel mondo reale come in quello onirico, ma molteplici e contrastanti sono i modi in cui la nostra anima la percepisce; se la passione gioiosa acceca e rende temerari, il dolore, al contrario, acuisce la sensibilità al pericolo. È dunque il complesso ed imperscrutabile gioco dei sentimenti umani a creare le storie, fatte di ciò che è, ciò che sembra e ciò che è in divenire. La simulazione, la rivelazione e il mutamento – che sono i motivi di fondo di opere come Detour, I pirati di Capri, L’incredibile uomo trasparente, giusto per citarne alcune – si articolano in questo Strange Illusion intorno alle deformazioni della mente, effettive o presunte, che appartengono all’ambito psichiatrico, criminologico e paranormale. L’azione, tutto sommato, è povera e prevedibile; ma l’attenzione di regia e sceneggiatura è tutta concentrata sulla tensione interiore dei personaggi, e sul modo in cui questa aderisce, con i suoi picchi e avvallamenti, all’altalenante percorso della vicenda. Tale scrupolosità analitica, che mai devia in digressioni teoriche, e sempre resta perfettamente calata nel concreto delle situazioni, è il maggior pregio di quest’opera apparentemente modesta, e in realtà splendente di quella cristallina e preziosa sobrietà che è l'essenza della chiarezza e dell'acume intellettuale.
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