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Sangue nel sogno

Regia di Edgar G. Ulmer vedi scheda film

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La recensione su Sangue nel sogno

di spopola
6 stelle

Il percorso di questo classico B-movie anni ’40 è certamente virato sul versante noir (e non potrebbe essere altrimenti, visto il soggetto) ma privilegia insolitamente (e forse troppo) l’aspetto “melò” del contesto, con un eccessivo sbilanciamento in questa direzione che inficia non poco il risultato - che rimane comunque pregevole e godibilissimo

E’ un sogno inquietante e reiterato a sostituire con maggiore realismo il “messaggio dell’al di là” che denuncia il misfatto e le conseguenze, in questa singolare rilettura attualizzata della tragedia di Amleto (per una volta tanto a lieto fine) il cui nucleo centrale del racconto rimane sostanzialmente fedele all’originale, pur con molte inevitabili concessioni e variazioni “metaforizzate” dovute al diverso contesto e alla differente ambientazione non solo temporale (qui l’assassinato è un giudice americano con carica di vicegovernatore e il figlio un adolescente con l’incubo ricorrente e premonitore di una “visione” che evidenzia non solo la morte cruenta e assolutamente non accidentale del genitore e i coinvolgimenti esterni dei responsabili dell’atto, ma anche il successivo innamoramento della madre – qui però assolutamente estranea al fatto e solo ingenuamente inconsapevole - per il farabutto responsabile del decesso camuffato sotto mentite spoglie). Ancora una volta quindi è Shakespeare la “musa ispiratrice”, colui al quale dovrebbe essere riconosciuto il “diritto d’autore”, un nome saccheggiato per il grande schermo più di ogni altro - e con maggior frequenza di quanto sia evidentemente dichiarato - che si conferma, al di là delle trasposizioni filologiche o pedissequamente conformi, il più prolifico (e involontario) “suggeritore” di tracce e di plot narrativi facilmente manipolabili alla bisogna, di tutta la storia del cinema dalle sue origini ad oggi. Il percorso di questo classico B-movie anni ’40, è certamente virato sul versante “noir” (e non potrebbe essere altrimenti, visto il soggetto) ma privilegia insolitamente (e forse troppo) l’aspetto “melò” del contesto, con un eccessivo sbilanciamento in questa direzione che inficia non poco il risultato - che rimane comunque pregevole e godibilissimo – perché davvero qui si stenta davvero a “riconoscere” nella mano del suo autore, quella iconoclasta di Edward G. Ulmer, soprattutto se si considera che la pellicola è stata realizzata lo stesso anno di “Detour”, tanto lontani siamo qui dalle avvolgenti atmosfere kafkiane oniriche e angoscianti di quell’inarrivabile e genialoide capolavoro “inquieto”, disturbante e spiazzante come pochi altri titoli, meritatamente entrato di diritto fra i capolavoro assoluti della storia del cinema. Insomma, una ciambella forse un po’ troppo affrettata e non perfettamente lievitata, ma non per questo meno appetibile anche se meno “saporosa” e appassionante del solito: dobbiamo infatti sottolineare con una punta di dispiaciuto disappunto che questo “anomalo” regista capace di incantare e sconvolgere con i pochissimi mezzi a sua disposizione, come solo i grandi talenti sanno fare, è stato in moltissime altre occasioni (ma purtroppo non in questa), in grado di raggiungere risultati assai più cospicui e di fare decisamente molto, ma molto meglio (non solo con “Detour”, ma anche con una pellicola straordinariamente atipica per gli standard fantascientifici pur notevoli dell’epoca, soprattutto in relazione ai contenuti e alla intelligente visionarietà nell’utilizzo di scenografie preesistenti riferite a ben altro set, come “L’uomo dal pianeta X” che anticipava bellamente molte delle tematiche poi più compiutamente espresse dallo Spielberghiano “E.T.” o ancora con “Il dominatore di Wall Street” dal cupo fatalismo autodistruttivo e poco conciliante, senza dimenticare il terrorizzante e personalissimo adattamento da Poe di “Black cat” o l’intelligente, personalissima rivisitazione di miti e stereotipi fra Caligari e Faust de “La follia di Barbablù”, tanto per citare alcuni degli esempi più significativamente eclatanti). Pur non trovando disdicevole il risultato quindi, sarebbe stato auspicabile attendersi anche un questa circostanza, qualcosa di più originale e insolito (o comunque maggiormente “corposo”) del piatto conformismo della confezione (le tematiche proposte, avrebbero sicuramente permesso soluzioni decisamente più trasgressive). La sufficienza è sicuramente - e largamente - superata, ma si rimane però con un po’ di amaro in bocca, considerando le potenzialità del suo autore e il periodo particolarmente prolifico ed ispirato per quanto riguarda i risultati in cui si colloca l’opera, di molti anni precedente all’inizio della inarrestabile decadenza che ha segnato il tramonto malinconico e senile rilevabile dalle sue tarde e conclusive proposte anni ’60... beh insomma nonostante gli sfozi e la tentazione, non mi è proprio possibile assegnare un "buono": devo assolutamente limitarmi a dare un "sufficiente" per non fare torto alle opere di gran lunga più pregevoli di questa sopra citate perchè al loro confronto, "Sangue nel sogno" (forse con la sola ed unica eccezione proprio dell'incubo iniziale) impallidisce e si scolora.....

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