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Il Caimano

Regia di Nanni Moretti vedi scheda film

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La recensione su Il Caimano

di LorCio
8 stelle

Bruno Bonomo, produttore di pellicole di genere (tra i suoi successi: Stivaloni porcelloni, Mocassini assassini, La poliziotta con i tacchi a spillo), dopo il flop di Cataratte è caduto in disgrazia ed è chiamato solo per presenziare a rassegne di B-movies. Ad una di queste incontra una giovane madre che gli consegna una sceneggiatura intitolata Il Caimano. Il pover’uomo, oberato di problemi, non le dà molta retta: il progetto che ha proposto alla RAI, Il ritorno di Cristoforo Colombo dalle Americhe, non riesce ad andare in porto; il frustrato regista che ha in forza, Franco Caspio, l’abbandona; il rapporto con la moglie Paola è giunto al capolinea. In una notte insonne, Bruno sfoglia la sceneggiatura ed incappa in due episodi: nel primo, valige piene di soldi irrompono dal soffito nell’ufficio di un uomo d’affari; nel secondo, lo stesso uomo atterra trionfante in un campo calcistico. Convinto che possa essere il film della svolta, Bruno contatta Teresa, la giovane ragazza incontrata alla rassegna e solo in un secondo momento capisce che trattasi di film su Berlusconi.

 

 

Film annunciatissimo, attesissimo, temutissimo, contestatissimo, Il caimano approdò nei cinema due settimane prima delle elezioni che portarono alla famosa sconfitta di Berlusconi per ventiquattromila voti. Arrivato dopo una stranissima stagione girotondina in cui la sinistra italiana aveva individuato in Nanni Moretti il carismatico leader di un popolo nell’inverno del proprio scontento, si presentava da una parte come la definitiva presa di posizione dell’intellettuale che vendica quella gente (ai limiti della propaganda) e il ritorno del parco cineasta che parla o dovrebbe parlare di ciò che il suo pubblico di riferimento voleva ascoltare. In realtà l’operazione è molto più complessa: film a scatole cinesi, come Moretti ama definirlo, oggetto narrativo e riflessivo soggetto a molteplici letture (la più superficiale dissimula il tema politico sotto l’apparenza di un melodramma), è una commedia drammatica (“ah Teresa, è sempre il momento di fare una commedia!”) lontana dalla tradizione dell’autore per la rinuncia al narcisismo (già mitigato ne La stanza del figlio), la complessità del racconto (almeno quattro piani narrativi: la storia di Bruno, le storie di Aidra, la storia di Silvio, la storia del film) e la riflessione sul potere.

 

 

Bruno, che ha votato Berlusconi come milioni di italiani non fanaticamente berlusconiani, è la rappresentazione del cosiddetto “berlusconismo che in me” di gaberiana memoria nella sua dimensione più intima: la disillusione nei confronti della promessa. Bruno è fondamentalmente il racconto di una crisi umana d’inizio millennio: ideale “italiano medio” che incarna l’impossibilità di una realizzazione (il malessere del sistema cinematografico), il decadimento culturale derivato da una sbagliata fruizione televisiva (Berlusconi che parla col pubblico è l’origine; l’attore di grido che recita senza voglia nella fiction su Colombo è il risultato), l’incomprensione nei confronti dell’opposizione settaria (lo straniamento di Bruno nella comunità familiare di Teresa), la delusione sentimentale contro chi vende il sole. Il caimano è anche la storia di un amore che finisce e dell’elaborazione del lutto sentimentale: Bruno che non sa affrontare la separazione dalla moglie, che strappa il suo maglione più bello (una scena di crudele apoteosi del dolore) e infine si rincorre teneramente in macchina con lei sulle strazianti note di The Blower’s Daughter.

 

 

Si potrebbe poi ragionare sulle opinioni che Moretti mette in bocca a Jerzy Stuhr, sorta di portaparola di caratura europea nel ruolo dell’ex socio di Bruno (“sono l’unico che ha fatto soldi con Cataratte”), che nuota nella piscina vista Roma motteggiando sul popolo a metà “tra orrore e folklore”. Sono un po’ la summa isterica del pensiero politico dell’autore, ma pensare che Il caimano sia un film su Berlusconi è quantomeno riduttivo: è un film su un Paese che subisce la figura di Berlusconi più che Berlusconi in sé. Il personaggio di Michele Placido che interpreta Marco Pulici che qua e là interpreta Berlusconi è l’espressione più facilmente accostabile al berlusconismo di cui prima: sessualmente libero, sapientemente scaltro, largamente paraculo (“quando Gianmaria fece Moro/quello del petrolio/Indagine su un cittadino…”) e soprattutto che promette senza mantenere.

 

 

Berlusconi è uno e trino: è la simpatia ingannatrice di Placido (l’attore che di base è o vuole essere il Cavaliere), è l’enigmatica ambiguità di Elio De Capitani (che lo stilizza nella sceneggiatura immaginata da Bruno incentrata sul tema dei soldi spuntati dal nulla), è la parola sprezzante di Moretti (che rinuncia al realismo in nome della metafora). Film inesauribile e non del tutto risolto, che di anno in anno cresce al di là della sua strategica uscita nelle sale, sostenuto da uno stuolo di cammei (Toni Bertorelli, Anna Bonaiuto, Valerio Mastandrea, Giuliano Montaldo, Tatti Sanguineti, Paolo Virzì, Paolo Sorrentino…) e dall’incalzante e inquietante colonna sonora di Franco Piersanti, è abitato da un trio di protagonisti in gran forma, da una misurata Jasmine Trinca ad una splendida Margherita Buy fino ad un Silvio Orlando immenso e spettacolare.

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