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La bambina nel pozzo

Regia di Russell Rouse, Leo C. Popkin vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su La bambina nel pozzo

di omero sala
5 stelle

locandina

La bambina nel pozzo (1951): locandina

 

La cronaca è piena di storie di bambini che cadono nei pozzi.

In America, nella vicenda che ha ispirato questo film, la vittima dell’incidente è una bambina di 4 anni e mezzo, Kathyin, che nel 1948 scompare in un pozzo abbandonato; diversamente da quel che si racconta nel film, dove viene salvata, la piccola in realtà morì per asfissia, a 30 m. di profondità, nonostante la straordinaria mobilitazione che vide impegnata una folla di soccorritori e di mezzi, con trivelle, bulldozer, gru, autocarri e perfino riflettori arrivati direttamente dagli studi di Hollywood. 

 

Sempre in America, nel 1987, Jessica McClure Morales, di 1 anno e mezzo, caduta nel pozzo del giardino della zia largo solo 20 cm, si ferma a sei o sette metri di profondità e viene salvata dopo 58 ore. In Spagna, a Malaga, Julien, un bambino di due anni e mezzo precipitato in un pozzo profondo oltre 100 metri e largo solamente 25 cm. è stato estratto cadavere dopo 13 giorni. Si hanno notizie di incidenti analoghi in Marocco (Rayan, 5 anni, morto dopo 5 giorni, nel 1981); in India (nel 2012, la vittima è Mahi, di 5 anni)),

In Italia, nel 1981, a Vermicino, Alfredino Rampi, di 5 anni, cade in un pozzo profondo 85 metri e largo 28 cm. e vi muore dopo 60 ore; nel 1996, vicino a Chieti, tocca a Nicola Silvestri, annegato in un pozzo profondo solo 7 metri, ma con 4 metri di acqua; sempre in Italia la stessa sorte tocca a Adian Costan, nel 2017 a Velletri, con un bambino di due anni che annega nel pozzo del giardino di casa.

In tutti i casi, questi avvenimenti suscitarono grandi emozioni, mobilitazione di folle, clamore mediatico: i tentativi di soccorso vennero seguiti, spesso in diretta, dalle televisioni e dalle radio; i giornali mandarono i loro corrispondenti per seguire i soccorsi ora per ora; alcuni cantanti composero brani sull’argomento; Woody Allen rievocò la storia di Kathy nel suo film Radio Days del 1987. Storie di questo genere sono state raccontate in mille modi da scrittori e registi: basti ricordare, oltre  al film di cui stiamo parlando: Una bambina da salvare, un film TV del 1989 diretto da Mel Damski; L’asso nella manica, di Billy Wilder, ispirato parzialmente a un evento simile; ela più recente serie tv Alfredino: una storia italiana che ricostruisce i tragici fatti accaduti nel giugno del 1981 a Vermicino, nei pressi di Roma,

 

La notizia di un bambino che cade in un pozzo e viene inghiottito dalla terra ha in sé qualcosa di terrificante e non può non evocare il fantasma del seppellimento da vivi, distillato di paure allo stato puro, di ossessioni cupe, di angosce devastanti che, diffuse e amplificate dai media, diventano incubi collettivi. Nessuna cosa è più distruttiva di un buco nero dal quale giunge la voce sempre più fievole di un bambino irraggiungibile.

 

Questo film svolge in maniera molto accurata ed efficace il compito di raccontare la cronaca delle fasi di salvataggio per il quale si mobilitano tutti, operai e imprenditori, sceriffi e cittadini comuni, bianchi e neri. 

Ma prima di celebrare la solidarietà attorno al pozzo, racconta anche qualcosa d’altro, e cioè la irrazionale linea di separazione fra la comunità nera e quella bianca che si palesa inattesa in una graziosa, ricca e pacifica cittadina californiana. Kathy, la bambina caduta nel pozzo, è infatti nera; e c’è in giro qualcuno che racconta di averla vista assieme ad un giovane bianco che la aiutava ad attraversare la strada dopo averle offerto un mazzolino di fiori. Col tema di per sé orrifico della bambina nel pozzo, prendono corpo tre altri temi altrettanto disturbanti: il sospetto di pedofilia nei confronti di un brav’uomo, la potenza della maldicenza (fama crescit eundo), il razzismo. 

Il primo non è approfondito, ma c’è e ha un suo peso; il secondo prende tutta la prima parte del film, una discesa all’inferno in perfetto equilibrio con la risalita della seconda parte, dove la ritrovata coesione interraziale della comunità attorno alla tragedia viene premiata con uno scontatissimo lieto fine.  

 

Mi torna alla mente, e non posso non citarlo, un altro film/pretesto - un capolavoro - che è L'asso nella manica (Ace in the Hole) del 1951, diretto da Billy Wilder. 

Anche lì c’è un sepolto vivo; e anche lì c’è una grande mobilitazione di gente, mezzi di soccorso, con gli annessi e i connessi ai grandi circhi mediatici. E lì, più che mai, il fatto di cronaca è una magnifica occasione per raccontare lucidissimamente altro: avidità, aridità, ambizioni, cinismo, strumentalizzazione del dolore, sciacallaggio. 

Lì, un po’ come a Vermicino, il luogo della disgrazia si trasforma in una specie dil luna park con migliaia di curiosi accampati e una mostruosa, desolante, concentrazione di  giostre, baracconi, concerti, dirette radiofoniche e televisive, sfilate di personaggi vari in cerca di popolarità. 

Si sa: le tragedie sollevano emozioni e attirano la curiosità delle masse che a loro volta sono il materiale organico che feconda consenso e consumismo. Sempre.

 

Gwendolyn Laster

La bambina nel pozzo (1951): Gwendolyn Laster

 

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