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Police

Regia di Maurice Pialat vedi scheda film

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La recensione su Police

di alan smithee
8 stelle

RETROSPETTIVA MAURICE PIALAT - CINEMATHEQUE DE NICE

 

 

Un raro, forse unico esempio di film di genere per il regista Maurice Pialat che rivisita, personalizza ed, in un certo senso, annienta il polar e le sue linee, i suoi forse un po' rigidi capisaldi, per inserirvi una visione realistica, a tratti quasi documentaristica, della vita vera, dei personaggi loschi, doppiogiochisti, falsi, approfittatori, ma anche fragili e strettamente dipendenti da rapporti umani che finiscono per sfociare un qualcosa che va al di là della convenienza e del losco profitto.

L'ispettore Mangin durante una retata nel quartiere di Belleville, arresta un piccolo spacciatore, tassello indispensabile per sconfiggere un commercio ben più grande di stupefacenti, e la sua giovane graziosa compagna.

Messi sotto torchio, i due finiranno l'uno in prigione, mentre la ragazza riuscirà a scagionarsi, ma verrà utilizzata dall'ispettore per cercare di far luce su un intrigo di contatti che coinvolgono altri loschi trafficanti.

Nel frattempo seguiamo anche in parte la vita privata, praticamente senza affetti e compagnia, del dinamico ispettore, solo più di quanto non voglia ammettere nelle false storie che fa circolare sulla sua ipotetica famiglia. Lo vediamo frequentare una giovanissima prostituta bionda, una collega e alla fine innamorarsi della stessa Noria, ragazza fragile che nasconde anche un ingente bottino sottratto ai soci del compagno in prigione.

Da una sceneggiatura di Catherine Breillat, Pialat stravolge il genere polar concentrandosi su lunghi estenuanti e realistici interrogatori, dove il nervosismo del poliziotto, la melliflua flemma dell'avvocato suo amico, e l'indifferenza di pietra dei colleghi, finiscono per delineare una società in cui i rapporti umani paiono davvero nascosti e celati, salvo ricercarli quando la solitudine e l'angoscia torna ad assalire ognuno dei singoli, resi vulnerabili dalla solitudine e dall'abbandono.

L'abbozzo di storia d'amore contrastato ed incerto tra poliziotto ed indagata finisce così inesorabilmente per morire sul nascere, soprattutto quando il poliziotto ammette di aver raccontato storie inventate circa la sua posizione familiare.

Depardieu/Marceau/Bonnaire/Anconina costituiscono un trio miliare ed eccezionale che rende il film davvero indimenticabile. Una Marceau reduce dal successo infinito dei leggeri turbamenti esistenziali ed adolescenziali dei due “Tempi delle mele”, la Bonnaire lanciata poco prima dallo stesso Pialat con A nos amour; un avvocato trtafficone reso alla perfezione da un Anconina tutto scatti e gestualità esasperata; ma soprattutto un Depardieu immenso, premiato con coerenza a Venezia come miglior attore nel 1985, che, a mio avviso, offre una delle sue migliori interpretazioni in assoluto per realismo e spontaneità nel rendere un personaggio dalla scorza dura, ma con evidenti crepe che ne mettono in luce grosse falle emotive che sono da un lato punti deboli, ma anche l'ultimo residuo di una umanità che egli cerca istintivamente  di rifuggire o celare, ma che diviene, alla resa dei conti, l'ultima debole possibilità di salvezza o speranza di restare esseri umani.

 

 

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