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Vital

Regia di Shinya Tsukamoto vedi scheda film

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La recensione su Vital

di EightAndHalf
8 stelle

In Vital scivoliamo in abissi di corrispondenze paradossali, come se il manifesto simbolista di Baudelaire fallisse nell'idea che un'altra dimensione, quella che oltre che simbolica nel mondo del cinema specialmente può essere considerata 'onirica', affermasse la propria autonomia, e attraesse verso di sé la mente dell'uomo per fargli dimenticare la realtà, per sostituirla, non alla luce di un'alternativa a una sofferenza, ma per una caccia, una riconquista che oggi porta ad associare questo interessantissimo film di Shinya Tsukamoto ad Eternal Sunshine of the Spotless Mind di Michel Gondry. "Come posso competere" dice la donna viva "con un tuo felice, morto ricordo?". E' proprio la dimenticanza e, per estensione, la dimensione della memoria, quella che più interessa il regista giapponese, che inquadra follemente un amour fou, folle perché ancora vivo fra un uomo vivo e una donna morta. La corrispondenza fra vivi e morti, difficilmente schematizzabile lungo la pellicola che non suggerisce stacchi decisivi ma allude tramite immagini, fermoimmagini e sequenze (elettro)statiche alle possibili differenze fra il mondo della fantasia-ricordo e il mondo reale, la corrispondenza, appunto, fra vivi e morti è data, secondo una filosofia cyberpunk che unisce l'organico al disorganico (e che fa coppia fissa con le degenerazioni cronenberghiane), dal ruolo della medicina e della scienza, che si applica al cadavere di una donna che 'ha donato il suo corpo alla scienza', e che durante il film viene smembrato e destrutturato dal protagonista come se questi volesse impossessarsene, farlo suo, come in una rincorsa estenuante e per gli altri dottori incomprensibile (anche perché così poco 'freudiana') verso la corrispondenza fra ricordo e realtà, distacco ancora più bruciante perché il ricordo lo si è vissuto davvero e il protagonista all'inizio del film si presenta come improvvisamente privo di memoria a causa di un misterioso incidente. Nel fascino sottile e inquietante del mistero (del film e dei personaggi, sia tra gli spettatori che tra i personaggi stessi) si ricostruisce un percorso che dovrebbe riportare a una verità sempre meno accogliente, autocastrante e autodistruttiva, e nell'analisi memoriale e introspettiva dell'antico rapporto amoroso (che ricorda un po' le destabilizzanti coppie di Wakamatsu) Tsukamoto non esita a richiamare alla memoria L'impero dei sensi di Oshima, negli strangolamenti reciproci, in una sessualità qui appena accennata che è diventata corrispondenza di morte. Nella struttura labirintica di Vital Tsukamoto destruttura le immagini, con sovrimpressioni che evitano il patinato e ricalcano la ricerca stessa del protagonista, con riflessi di soggetti ripresi che lentamente vanno combaciando in uno solo (le ciminiere dell'inizio e della fine del film). E nella destrutturazione sia delle immagini che del racconto, che spiazza e attanaglia lo spettatore non preparato come avrebbe potuto fare Tetsuo, il regista si accorge che solo facendo sottili riferimenti alla trasformazione della carne in macchina robotica si può rielaborare il suo sogno cyberpunk del passato in una riflessione profonda e assolutamente 'realistica' (nel senso più lato del termine) sulla memoria umana, che viene affissa in robot che sostituiscono gli uomini e il cui ultimo ricordo è un profumo, accogliente e adorabile, che possiamo vedere, sentire, improvvisamente, nella confusa e imprevista ultima sequenza, l'ultimo ricordo dell'umanità.

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