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Infection

Regia di Masayuki Ochiai vedi scheda film

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La recensione su Infection

di mulder
8 stelle

Se il cinema americano continua a promuovere il cinema cotto e mangiato, quello che ristagna sui vecchi modelli da fiction televisiva, il sapore orientale ha un gusto del tutto diverso, e si insinua nella psicologia dello spettatore.Così ci si accomoda in sala nella convinzione di rivedere il classico film alla The Ring e ci si ritrova di fronte un modello filmico molto più enigmatico, molto più sottile, e che si avvicina molto di più alle controversie mentali di The Call e Ju-On. E non solo. Quello che colpisce di più sono i simboli, forse lontani dalla cultura occidentale, ma così ricchi di fascino, ed utili nel tessere la tela dell’enigma.Le prime scene proiettano lo spettatore all'interno di un ospedale tetro e decadente, nel quale si muovono tirocinanti e medici in cerca di fama che cercano in tutti i modi di aiutare una serie di malati colpiti da patologie del tutto differenti tra loro. Ed è proprio la prima malata a condurci all’interno del film. Un patologia colpisce il sistema cerebrale, e la donna crea immagini attraverso la propria mente, dunque non percepisce la realtà, ma la proiezione di ciò che il suo cervello produce. Vede immagini dei suoi cari nello specchio (che nella simbologia nipponica è legata allo spirito).Ma se la donna malata è simbolo di percezione errata della realtà, chi può dire qual è la vera percezione del reale? Un dottoressa indica un mela rossa: quella mela rimane tale anche se illuminata da diverse fonti di luce. Siamo noi che abbiamo la percezione del rosso, e questa percezione può non corrispondere alla realtà.
C’è poi un’altalena, posta in un parco davanti l’ospedale. Si muove lentamente, silenziosamente, e con un doppio andamento. Perchè? Probabilmente un modo per comunicare che esistono due realtà, quella percepita (uno spirito che aleggia nel parco) e quella vera (solo il vento).
Improvvisamente il film entra all’interno del vortice narrativo dell’horror più comune, con l’occultamento del cadavere di un uomo morto per errore medico.Poi giunge un altro malato, infetto. Qui inizia il delirio "mentale" totale. Il virus si propaga (non capiamo il come), medici ed infermiere ne rimangono vittime.Le immagini più crude del sangue verde e delle morti atroci ci traghettano verso l’enigma centrale. Il dottor Akai e gli altri medici tentano di comprendere le ragioni della diffusione del virus: emerge che si tratta di un virus mentale. Allora Akai si ritrova solo nella non comprensione e noi con lui.Il virus mentale si propaga tra gli uomini, sconvolge, e stravolge la percezione della realtà, i dottori finiscono con l'essere malati. Il rosso (Akai in giapponese significa rosso, la mela è rossa, le luci dell’ambulanza sono rosse) si contrappone al verde ( il sangue, l’uscita di sicurezza). Attraverso gli occhi della dottoressa che al mattino scopre il massacro, riviviamo il contrasto tra reale e irreale, tra ciò che produce la mente e ciò che realmente esiste, tra ciò che percepiamo e ciò che dovremmo percepire. Pazzia, inconoscibilità, devastazione psicologica.
L’occhio, l'ultimo fotogramma, quale sguardo sul reale e quale strumento di percezione, si apre e si chiude, dal rosso al verde. E la mela stessa diviene improvvisamente verde. Le altalene trovano un movimento sincrono, forse il reale può finalmente combaciare con la sua percezione.
Tra dubbi e delusioni l’unica spiegazione al finale è la non spiegazione, il prendere il senso del film, senza schemi narrativi, riflettendo solo su quanto il bravissimo Masayuki Ochiai ha voluto trasmetterci.

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