Regia di Kenji Mizoguchi vedi scheda film
Nonostante la mia resistenza di principio ad attribuire le cinque stelle del capolavoro a film di altre culture, di cui ci è difficile comprendere pienamente il senso e quindi il valore artistico (parecchie scene mi restano infatti poco chiare) e le riserve particolari su Mizoguchi che a me pare bravo ma inferiore a Ozu e a Kurosawa, azzardo a darle, per molte scene chiare anche per me; per esempio il passaggio drammatico dalla vita a corte all’esilio, in cui O-Haru e i genitori sono scortati fino al ponte, che essi non potranno mai più riattraversare: alle parole che pronunciano il divieto segue un movimento di macchina che scende sotto il ponte, che incombe come una macchia nera sulla metà superiore dell’inquadratura, mentre da sotto si vedono i tre esiliati che si allontanano. Oppure la disperazione di O-Haru che vuole raggiungere l’amato alla notizia che questi è stato ucciso, e lotta con la madre che la insegue nel bosco per impedirle di uccidersi. Ho segnalato l’abuso di tagli orizzontali, ad imitazione di Ozu, ma spesso arbitrari e inutili, in La signora di Musashino, dell’anno precedente; qui invece le inquadrature sono molto varie, con preciso valore espressivo, almeno dove il senso mi appare chiaro. Ma certi passaggi non li ho capiti; per esempio O-Haru, dopo aver scelto (senza apparenti motivazioni) la vita religiosa, al mercante di stoffe che viene a riscuotere il credito restituisce il kimono spogliandosi, azione che ho inteso come un invito, e così pare aver inteso anche il mercante, mentre alcuni critici parlano di violenza.
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