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Un bacio appassionato

Regia di Ken Loach vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Un bacio appassionato

di omero sala
6 stelle

 

 

Una storia già vista molte volte, nella letteratura (da Paolo e Francesca, a Giulietta e Romeo) o nel cinema (nello storico dialogatissimo Indovina chi viene a cena finoallo struggente Blue Valentine di Cianfrance sui laceranti contrasti amorosi).

Una commedia romantica, quasi leggera, insolita per Loach, che narra l’evoluzione di un amore interetnico dai primi inizi timidi (e furbescamente teneri), allo sviluppo contrastato e altalenante (alquanto prevedibile,) fino alle conclusioni un po’ sospese (ma non troppo).

Si parla della relazione fra l’affascinante Casim (Atta Yahub) e l’incantevole Roisin (Eva Birthistle): lui pakistano di Glasgow, musulmano legatissimo alla famiglia, buono fino alla remissività; lei irlandese, indipendente e ostinata ma pur sempre cattolica, insegnante  di musica in una scuola confessionale, decisa di carattere e determinata nelle sue scelte.

Lui vuol fare il D.J. in un club, tradendo già in questa scelta le aspettative della famiglia che desidererebbe vederlo impegnato nel lavoro per cui si è laureato.

Lei è separata e insegna proprio nella scuola frequentata dalla sorella minore di Casim).  

Lui compromette gli equilibri familiari annunciando che non sposerà la fidanzata promessa scelta dalle famiglie che sta per arrivare dal Pakistan; poi, a sottolineare la sua ribellione, se ne va di casa dicendo che va a vivere da amici senza però avere il coraggio di parlare del suo amore. 

Lei si scontra col parroco che conosce la sua relazione adulterina con un “Abdul” e non le firma il placet necessario per essere assunta dalla scuola.

Seguono dei tiramolla estenuanti nei quali i due si cercano e bisticciano, si incontrano e si scontrano, si riconciliano e si separano, fanno un viaggio d’amore che finisce male, si chiamano e non si rispondono, fra rabbie e ripensamenti..  

Una vicenda penosa, calda e triste, dolce e amara, coinvolgente e desolata, faticosa ma appassionata, come il bacio del titolo.

 

Loach, detto Ken il rosso (e anche l’arrabbiato), qui non pare più il militante duro che conosciamo quando tratta di politica, di lavoro, di ingiustizie, di proletariato. 

Riesce a tenere sullo sfondo perfino la tragica migrazione dei musulmani verso il Pakistan (sembra quasi che il racconto del padre sia relegato nella storia della famiglia e non riguardi più la seconda generazione).

Però scava profondamente nelle pieghe del problema, documentandosi, cercando di capire e farci capire la sostanza delle situazioni; lasciando che i due esprimano tutte le sfumature dell’attrazione e le ragioni degli impedimenti; spalancando tutta la sensibilità nel consentirci il dispiego dell’empatia verso i suoi personaggi; e cercando sviluppi positivi, con spirito di comprensione per le ragioni di tutti, senza isterismi di denuncia. 

Non si schiera con la solita intransigenza manichea che sfodera rabbioso quando affronta altri temi ma entra delicatamente nell’anima di due innamorati (nella loro sfera privato e perfino erotica) tenendo come sfondo le rigidità dei loro mondi bigotti (sfondo politico); si concede una sola scena di rabbia contenuta quando disintegra il chiuso fanatismo del prete, pari solo alla penosa intransigenza del padre di Casim.

(Ma questo inconsueto irenismo conciliante è riconducibile al fatto che Loach è ben consapevole di quanto l’intransigenza alimenti i fanatismi e quanto le contrapposizioni rigide allontanino ogni possibilità di integrazione). 

 

Il vecchio regista resta comunque quello di sempre, ben riconoscibile nel porre all’attenzone del suo pubblico i suoi consueti temi della scelta, privata o pubblica che sia, del bivio che non consente compromessi, della assunzione di responsabilità, della coerenza (che sia sentimentale, etica o politica), del cambiamento e della trasformazione. Ed è sempre lui nel porre, anche da una prospettiva meno politica, l’eterno tema degli umiliati e offesi. 

La mano è sempre la stessa, nella raffinata professionalità e nel magnifico confezionamento: la trama è perfetta, con inserimenti apparentemente casuali di piccole vicende collaterali di personaggi che cominciano a guardare le cose con occhi diversi (la madre pietosa e comprensiva; il tollerante direttore della scuola che assume la peccatrice in barba agli anatemi del clero e alle conseguenze economiche e sociali di questi; la sorella minore che accetterà la borsa di studio a Edimburgo).

Equilibrato, come sempre, l’uso della macchina da presa, del colore, delle atmosfere, delle inquadrature (tutte fluidamente al servizio della narrazione, senza forzature, senza smargiassate) e della musica (Mozart, ovviamente).

 

Comunque, ricordo che qualche decennio fa (Ken Loach è del ’36) si sosteneva che il privato fosse politico. E forse questo suo film è più politico di quanto possa apparire.

 

 

 

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