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Io, Robot

Regia di Alex Proyas vedi scheda film

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giancarlo visitilli

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La recensione su Io, Robot

di giancarlo visitilli
6 stelle

Prima legge: “Un robot non può recare danno agli esseri umani né permettere che, a causa della propria negligenza, un essere umano patisca danno”. Seconda legge: “Un robot deve sempre obbedire agli ordini degli esseri umani, a meno che non contrastino con la Prima Legge”. Terza legge: “Un robot deve proteggere la propria esistenza, a meno che questo non contrasti con la Prima o la Seconda Legge”. Queste sono le leggi scritte dal padre della fantascienza, Isaac Asimov, in un suo romanzo famosissimo, Io, robot, degli anni ’50 (ripubblicato da mondatori, 270 pagg., 15,00 €) da cui il regista australiano Alex Proyas (Dark city, Il corvo) ha tratto l’omonimo film. Visto la prima volta, risulta bellissimo. Basta ritornarci al cinema per accorgersi che, in realtà, Io, robot è un film furbo.
Siamo nella Chicago del 2034, in una città in cui la convivenza fra robot e umani è divenuta ormai ‘normale’. Veramente surreale, se si pensa al fatto che non riusciamo ancora a convivere fra umani di culture e religioni diverse, figuriamoci coi robot!
Tuttavia, in un futuro a noi prossimo, il detective Del Spooner è chiamato a investigare sulla morte del dottor Alfred Lanning, un brillante scienziato della U.S. Robotics che stava lavorando a un nuovo tipo di robot, dotato di un cervello simile a quello umano. Con l’aiuto della dottoressa Susan Calvin, psicologa esperta di intelligenze artificiali, deve cercare di svelare il mistero che si cela dietro quello che apparentemente sembra essere un omicidio commesso per mano di un robot.
E’ fuor di dubbio che il film, ispirato alla saga robotica di Asimov, sia la maturazione di un processo filmico, oltre che fantascientifico che comincia con Star Wars, Aliens, Blade Runner, 2001: odissea nello spazio, Terminator, A.I., per arrivare all’ultimo Minorità Report; lo dimostra anche la presenza fra i co-sceneggiatori di uno degli autori di Final Fantasy.
E’ altrettanto vero, però, che è un peccato dover considerare che Proyas in questo film sia eccessivamente invaghito dalla figura di Will Smith, tanto da rasentare il culto della personalità: interminabili riprese sul bel nudo dell’attore, lasciano riflettere sulla possibilità che il vero robot di cui vuole parlarci il regista sia l’attore. Oltre che l’imbarazzante e inutile (almeno per quanto riguarda il punto di vista dello spettatore) inquadratura delle sue scarpe Converse, le scene con l’Audi del futuro (la macchina di Spooner nel film è una Audi RSQ, realizzata appositamente in unico esemplare), insieme a tutta una serie di sponsorizzazioni, compresa quella della famosa multinazionale che costruisce robot, U.S. Robotica, reale colosso dell’hardware informatico, che per tutta la durata del film martellano la vista e la testa di chi ha pagato un biglietto, non certamente per guardare tutto ciò che si è ormai abituati a vedere sul piccolo schermo.
Dov’è finita la riflessione sull’etica della creazione (vedi Blade Runner), presente in tutti i romanzi di Asimov; sull’antropomorfizzazione della macchina (quale occasione migliore del romanzo di Asimov), che nei suoi libri non lasciavano il lettore, comunque sempre preso da una certa emozione. Invece, il film di Proyas è privo di sentimenti, è freddo come la gran cassa d’acciaio del robot, non c’è nessun passaggio di ‘elettricità’. Nessuna emozione. Neanche quando lo spettatore (quello attentissimo ai particolari) legge sulla targhetta appesa al collare del gatto del dottor Lanning il nome “Asimov”. Solo tristezza, a tal proposito.
Alla fine, cosa rimane? Un dubbio: che i 140 milioni di dollari di budget utilizzati per il film siano un’enormità spesa. Bastava spendere solo 15 Euro, per comprarsi il libro di Asimov, e ‘comprare’ a poco prezzo la riflessione e l’emozione che solo un genio come lui sapeva regalare.
Giancarlo Visitilli



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