Espandi menu
cerca
Pornocrazia

Regia di Catherine Breillat vedi scheda film

Recensioni

L'autore

giancarlo visitilli

giancarlo visitilli

Iscritto dal 5 ottobre 2003 Vai al suo profilo
  • Seguaci 19
  • Post 2
  • Recensioni 452
  • Playlist -
Mandagli un messaggio
Messaggio inviato!
Messaggio inviato!
chiudi

La recensione su Pornocrazia

di giancarlo visitilli
4 stelle

Non molti mesi fa, sia sul grande schermo, che sul piccolo, andava in onda una pubblicità, con immagini in bianco e nero di tante donne (quelle del movimento femminista anni ’60) che manifestavano per i loro diritti: qualcuna, addirittura, picchiata dalla polizia, non ostentava alcuna paura, pur di far valere i suoi diritti… Alla fine della pubblicità ci si accorgeva, tristemente, che si trattava semplicemente dello spot del “Buscopan”, quello per i dolori mestruali, per intenderci.
La stessa logica di quello spot ha ‘illuminato’ la regista, madame Breillat, nel suo nuovo film Pornocrazia, tratto dal suo omonimo libro, che lei stessa ha definito “un teorema di Pitagora sull’oscenità. E’ un film sulla conoscenza. Tra il tabù che significa ‘vergogna’ e il tabù che significa ‘valore iniziatico’. Tra l’innominabile quindi il non guardabile e l’innominato c’è una grande differenza e il mio film si pone in mezzo”.
Dopo la visione del film, queste parole della Breillat, ben sintetizzano il carattere evidente di una donna ‘inkazzata’, al cui confronto, le femministe hippye di allora appaiono come tante ‘donne di convento’. Si annaspa, sin dalle sequenze iniziali, in una logorroica e volgare (senza alcuna remora di moralismo) messa in scena, in cui l’ego femminista (più che femminile) della regista, fuori luogo e atemporale, ti sbatte in faccia un uomo e una donna che lottano per dimostrare l’uno all’altra chi è il più forte, nel senso del virilismo, del femminismo, del vaginismo e del pe(rbe)nismo. All’inizio ci si trova dinanzi ad un Rocco Siffridi gay (almeno per il primo quarto d’ora di film), poi lui stesso si scorda di esserlo, anzi… E lei, il ‘gentil sesso’, come una vampira, pronta a rivendicare la sua impurità nel periodo mestruale, beve il suo stesso sangue e costringe a farlo anche a lui. A ciò si contrappone l’invidia dell’uomo, della sua capacità di dare la vita. Una sorta di competizione, fra la profondità del sesso femminile e l’erezione da record di Siffredi. Ma basta solo questo a creare scandalo, come lo si sponsorizza ovunque, per l’imbarazzo creato al Festival di Berlino? Assolutamente no, semmai il film della Breillat crea solo “schifo”, nel senso che in confronto, un libro di Miller, sull’esempio di Opus Pistorum, è solo un ‘fumetto’. Dunque, qui si cela la furbizia e l’astuzia presuntuosa della regista, a trincerarsi dietro un’intenzione artistica, ma che di quest’ultima non ha nulla, piuttosto ribalta (a mo’ di rivincita) il concetto paolino della “donna sia sottomessa al marito” e rende schiavo di sé l’uomo, fino all’inverosimile, tanto da poterne poi fare a meno e rimpiazzarlo con un cetriolo o con il manico di un rastrello.
Cosa rimane di questa donna regista, che ha recitato in Ultimo Tango a Parigi di Bertolucci, se non il ricordo di un ‘filmaccio’ porno e volgare, che potrà essere ricordato solo perché si tratta dell’ultimo film in cui ha recitato l’icona del porno italiano, Rocco Siffredi, visto che questi ha annunciato il ritiro dal set dopo quest’ultima prova (e ci credo!).
Il film della Breillat è imbarazzante anche per l’aspetto propriamente cinematografico: sceneggiatura fitta di buchi, regia inesistente, che s’incanta solo sulle ‘profondità’ e sui ‘lunghi’ piani di certe doti naturali.
C’è da chiedersi a quali giochi giocasse da bambina la regista, visto che nel film accenna solo a quello del “medico e della bambina ammalata”. Se ha mai conosciuto nella sua vita un lui, capace solo di guardare, che al massimo può toccare, assaggiare, bere, piangere. Che senso ha la scena finale di un uomo fallito, che ‘confessa’ ad un amico le sue avventure, lasciandogli i soldi con cui è stato pagato dalla donna? E’ un uomo che ha bisogno di riscattarsi, ma da cosa e perché? Dove ha conosciuto la Breillat l’uomo che torna sui suoi passi e, in casa di lei, non trova nulla, se non il ricordo del sangue? Non aveva riferito, la regista, che sua intenzione era superare un certo oscurantismo religioso, in rapporto al sesso? In realtà, con Pornocrazia, la Breillat ha fomentato non solo l’oscurantismo d’ogni sorta, ma soprattutto il disprezzo per un genere di cinema che ha avuto grandi maestri, a cominciare da Buñuel e Pasolini, passando per Bertolucci. Con questi, naturalmente, la Breillat non ha nulla da spartire. Lei lo dovrebbe sapere, visto che, all’inizio del film, appare una scritta in francese: “Il cinema è un’illusione”. Peggio ancora quando si ha l’illusione di fare cinema.
Giancarlo Visitilli

Ti è stata utile questa recensione? Utile per Per te?

Commenta

Avatar utente

Per poter commentare occorre aver fatto login.
Se non sei ancora iscritto Registrati