Regia di Paolo Franchi vedi scheda film
Il film scivola via.
Sfila lento ma deciso davanti agli occhi fino alla fine senza fermate, lasciando lo spettatore in bilico tra la disillusione e l’incredulità. Mancano i sobbalzi compulsivi delle emozioni castrate e le immersioni nelle profondità dell’animo umano. Elementi fondamentali per dare forza all’analisi intimista che il film si propone di raccontare.
Scontato, oggi più che mai, il tema della solitudine come scelta triste ma rassicurante di “non-vita”. Tuttavia non è l’ovvietà del messaggio a stonare quanto la superficialità nel modo di inviarlo. Del resto se è vero che tutto è già stato detto, è nel modo di dirlo che vanno ricercate l’originalità e la profondità quindi l’attrattiva.
Quelli raccontati dal regista sono esseri umani, ahimè reali, che vivono aggrappati ai contorni della vita come a una ringhiera. Attratti dal vortice sottostante, ora allungano un braccio ora sporgono la testa ma tengono il resto del corpo – cuore compreso - ben ancorato dietro la balaustra. Molto attenti a non cadere giù perché tutto sommato vagheggiare la vita è molto più facile e sicuro che viverla.
Dunque il messaggio e’ chiaro soprattutto perché sa di reiterazione, la narrazione è pacata e latente, il conflitto e la complessità dei tre protagonisti come del relativo menage si intuiscono appena ma non emozionano.
Paragonare questo film alle opere di Truffaut e Sautet è azzardato, (difficile riuscire a indignare e al contempo commuovere come fa Auteuil/Stephan in “Un cuore in inverno”) , tuttavia è apprezzabile l’idea del regista di trarre spunto proprio da questi grandi maestri del cinema, considerato anche che è al suo primo lavoro.
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