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Regia di Jacques Tati vedi scheda film

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La recensione su Play Time

di steno79
10 stelle

VOTO 10/10 Quarto film di Tati, realizzato circa dieci anni dopo il precedente "Mon oncle" di cui riprende il tema dell'alienazione e della spersonalizzazione del vivere contemporaneo in un mondo ipertecnologico da incubo. E' il culmine della sua satira e di una concezione cinematografica antinarrativa, dove la comicità nasce da situazioni paradossali e da gag appena accennate, concatenate fra loro in maniera sempre efficace nonostante l'assenza di una vera e propria trama e personaggi appena abbozzati che si confondono in una folla che resta la vera protagonista del film. All'epoca fu un fiasco accolto freddamente anche dalla critica, ma rivisto col senno di poi resta un film incredibilmente moderno, quasi un'opera fondatrice di una nuova estetica cinematografica che ha trovato pochi adepti nei decenni successivi. Le inquadrature sono spesso sovraffollate di personaggi anonimi ed elementi architettonici e, per essere pienamente apprezzate nella loro originalità compositiva, andrebbero senz'altro guardate su schermo panoramico. La prima parte, che si svolge fra l'aeroporto di Orly e gli uffici di una grande azienda dove monsieur Hulot cerca inutilmente un impiegato, è la più ardita e originale, anche se può risultare senz'altro difficoltosa per lo spettatore non preparato; la seconda parte si concentra quasi esclusivamente sulla progressiva demolizione di un ristorante alla sua inaugurazione e resta un pò più accessibile, pur basandosi su una costruzione radicalmente diversa dagli standard cinematografici dell'epoca (le gag più divertenti si concentrano qui). Tati attraversa il film con la sua presenza eterea, seppure in maniera intermittente, e garantisce all'opera il richiamo della poesia, anche se si tratta di un film di grande complessità che necessità di di diverse visioni per poter essere compreso e apprezzato per il suo giusto valore. 

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