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Dogville

Regia di Lars von Trier vedi scheda film

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La recensione su Dogville

di FilmTv Rivista
10 stelle

Questa è la recensione del Dogville che abbiamo visto a Cannes, con i suoi 178 minuti, prima avvolgenti, poi travolgenti, verso la fine, quando tutto prende a scivolare sulla china del disvelamento e di un’inattesa svolta e rivolta. All’edizione italiana mancano purtroppo quasi tre quarti d’ora. Così va il mondo del cinema.

Un paese sulle Montagne Rocciose. Un set in uno studio da cui non si esce mai. Aria chiusa in Dogville. Irrespirabile. Il paese del cane e di quei cani di abitanti accoglie con diffidenza Grace, in fuga dai gangster. Fanno un’assemblea per decidere se permetterle di restare, votano sì, lei comincia a lavorare e a essere sfruttata, i religiosissimi paesani tirano fuori il nero della loro anima, la poverina finisce col diventare una bestia da soma, un corpo di cui godere, una schiava da tenere alla catena. Ma le cose possono cambiare all’improvviso. Il primo scomparto della nuova trilogia di Von Trier sull’America è un film di testa e d’emozioni. Film di testa: Dogville è un’astrazione disegnata sul pavimento di un set che è un palcoscenico tra Brecht e Ronconi, i personaggi corrispondono agli stereotipi dei romanzi (e dei film) su una qualunque piccola città, il racconto è diviso in un prologo e nove capitoli, ci fa da guida la voce di un narratore. Film di emozioni: basta che la macchina da presa si avvicini al volto di Grace o di uno degli abitanti di Dogville e dimentichiamo di essere su un set, entriamo dentro un labirinto di passioni represse, voglie mai sfogate, ipocrisie, odiosità, umiliazioni. Dogville è un atto di fede nel cinema e insieme una dimostrazione della sua falsità. È anche una specie di inno a un’attrice, Nicole Kidman, diafana forte leggera decisa, che percorre il film con appassionata accortezza e penetrante partecipazione. L’immorale Von Trier può anche darsi che sia un impostore, come dicono i suoi denigratori. Non c’è neppure l’ombra della realtà in Dogville, c’è solo un set.

 

Recensione pubblicata su FilmTV numero 46 del 2003

Autore: Bruno Fornara

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