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Pater Familias

Regia di Francesco Patierno vedi scheda film

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La recensione su Pater Familias

di Peppe Comune
8 stelle

Matteo (Luigi Jacuzio) è in carcere e riceve un giorno di permesso per andare al capezzale del padre morente. Questo fatto gli da l'occasione di rifare un po’ i conti col passato e con quello che resta del presente. Ripensa all’amico Gegè (Michelangelo Dalisi), morto suicida dopo che l’ennesimo tentativo di cambiare vita è andato in frantumi ; al cugino Michele (Francesco Pirozzi), ammazzato per aver difeso l’onore oltraggiato di una ragazza ; a Rosa (Federica Bonavolontà), costretta dai genitori (Sergio Solli e Marina Suma) a sposare il ragazzo che l’aveva messa incinta. Matteo è intimamento innamorato di Rosa, e ora si è posto come scopo quello di aiutarla a fuggire insieme alla piccola Rita da un matrimonio senza amore.

 

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Pater Familias - Luigi Jacuzio

 

Le vicende di Matteo sono in realtà solo un pretesto per parlare delle vite deviate di un gruppo di ragazzi che, a ragion veduta, possono assurgere a emblema di tutti i ragazzi che vivono la dimensione particolare delle periferie delle grandi città, di norma alienanti e disordinate, irregolari e, perciò, disturbanti. Francesco Patierno ci porta in quella a nord di Napoli : un agglomerato urbano senza soluzione di continuità, una periferia che danna l'animo di ragazzi senza difese immunitarie adeguate. In questo bellissimo film d'esordio (tratto dal romanzo omonimo di Massimo Cacciapuoti) la realtà della “strada” è tratteggiata senza mediazioni di sorta, senza alcuna demagogia di maniera e senza alcun tentativo di ricorrere ad una gratuita spettacolarizzazione della violenza. Con uno stile asciutto e rasente il documentarismo, il film segue con fare analitico il maledettismo antisociale di questi ragazzi rubati alla vita, chiusi in una spirale del male che tende a prolungare in eterno lo strazio di una precarietà del vivere che non concede pause. Più che scegliere la strada da prendere, questi ragazzi sono stati scelti dalla strada della devianza e dove è stato particolarmente bravo Francesco Patierno è nel mettere in risalto la genesi di questa circostanza “sociologica” chiarendo alcuni dei motivi che ne hanno potuto rappresentare le premesse. Non c’è un immagine consolatoria in questo film, solo la conquista sistematica, e quindi sistemica, del brutto. I loro percorsi di vita sono filtrati attraverso i ricordi di Matteo secondo un’alternanza continua tra passato e presente che è resa attraverso una dissonanza di colori capace di far riflettere tutto il corollario di violenza che pervade le vicende trattate. La strada presa dai ragazzi (per lo più dilettanti e molto credibili) sembra segnata irrimediabilmente da un sistema di cose che loro non vogliono nemmeno conoscere. La vita può anche essere un adagiarsi passivo su quello che passa la vita di ogni giorno, sulla semplice reiterazione di ruoli sociali che sembrano stabiliti una volta e per sempre : quello degli uomini, padri padroni, violenti e indolenti, e quello delle donne, madri succubi e silenti, vittime di un fatalismo tipicamente “meridionalista”. La forza iconografica del film è tale che la questione di fondo si pone anche se non viene espressamente messa in rilievo : perchè dei ragazzi posti ad un bivio scelgono la strada della perdizione con tanta sfrontata naturalezza ? Innanzitutto, c’è il ruolo della famiglia che in taluni contesti sociali è, insieme, ricettacolo di ogni devianza possibile e unico luogo dove poter coltivare una qualche forma di salvazione, un’istituzione che tende ad assolvere continuamente se stessa, che redime al suo interno ogni abuso fatto alla legalità, che rischia di diventare una gabbia per i propri figli i quali, nel mentre subiscono le angherie dei padri, si predispongono per continuarne la scia ; poi c'è il degrado urbano che abitua a una visione distorta delle cose, a una limitatezza dei propri orizzonti cognitivi che poi si traduce facilmente nella difesa strenua di un territorio concepito come terra di conquista. Ecco, questi sono alcuni aspetti evidenziati da Patierno che aiutano a capire come la strada della devianza, se non proprio necessaria, rientra facilmente nel novero delle scelte possibili per la tipologia dell'umano presa in esame. Naturalmente, a corollario di tutto, c'è l'azione invasiva delle organizzazioni mafiose la cui incidenza sociale sulla vita delle persone è da ricercarsi nelle categorie vicinanza-lontananza relative, rispettivamente, al potere legale dello Stato e a quello illegale del sistema camorra (agente come corollario culturale inevitabile per la vita di questi ragazzi che, urge sottolinearlo, non sono ancora degli affiliati veri e propri). Se il primo è avvertito come un qualcosa di lontano, come"quello che non mantiene le promesse", e col secondo uno ci vive praticamente insieme e offre continue opportunità di fare soldi facili, ecco che la probabilità a favore della devianza sociale cresce a dismisura. In ogni luogo, del resto, l'assenza di potere legale (o avvertito come tale) accresce il potere ricattatorio delle bande criminali che possono rinfoltire le proprie fila in misura proporzionale dello stato di povertà (intesa qui non solo nel suo senso letterale) del contesto sociale in cui agisce. Sono delle questioni assai complesse queste e il film ci fa comprendere meglio perchè è diventata una norma astenersi dall'analizzarle nella loro più completa criticità analitica, preferendo più accomodanti semplificazioni. Come se capire significasse giustificare, come se predisporsi alla comprensione accurata di un problema non rappresentasse il primo e fondamentale passo per cercare di risolverlo. "Pater Familias" è un grande film proprio per questo, perché armonizza a dovere la forma cinema con una sostanza  antropologica.

 

 

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