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Kafka a Teheran

Regia di Ali Asgari, Alireza Khatami vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Kafka a Teheran

di axe
7 stelle

Un padre non è libero di scegliere quale nome assegnare al figlioletto appena nato; un regista è invitato a stravolgere la sceneggiatura del suo film pur di avere la possibilità di girarlo; una donna si reca presso una stazione di polizia per riavere il suo cane, prelevato nel corso di una "retata"; l'animaletto è forse perso per sempre, ma può salvarne un altro dallo "smarrimento". Queste sono tre tra le nove storie che i registi iraniani Ali Asgari e Alizera Khatami ambientano nella Teheran contemporanea; descrivono situazioni "kafkiane" le quali coinvolgono cittadini qualsiasi alle prese con personaggi, istituzionali e non, i quali agiscono in linea con i principi del governo teocratico iraniano. Disavventure che non colpiscono individui riottosi, politicamente o religiosamente sgraditi al governo, bensì frustrano chi vorrebbe migliorare la propria condizione o anche, semplicemente, esser lasciato vivere tranquillo, nell'indifferenza di altre persone visibili nei pressi, la qual cosa trasmette l'impressione che quanto accade sia la normalità. Il protagonista è inquadrato da una telecamera che non è mai spostata per l'intera durata dell'episodio. Entra nell'inquadratura anche l'ambientazione, per lo più sobri ed ordinati locali di uffici pubblici. Non è mai mostrato l'interlocutore, il personaggio che, sostenendo o applicando i dettami voluti dal governo teocratico, mette in difficoltà il protagonista del racconto. Senza quasi mai perdere la calma, esibendo estrema razionalità, costoro, espongono le loro argomentazioni con sicumera, a volte dando l'impressione di voler prendersi gioco della vittima predestinata - la quale prova inutilmente a ragionare con loro - altre volte mostrando più sincero convincimento che quanto sostengono sia giusto. Il più delle volte, il protagonista di turno esce sconfitto; in ogni caso, rimane spiazzato dal confronto. L'invisibile controparte non ha nulla da temere; dalla sua è la forza, indefinita, tentacolare, onnipresente, di un apparato di governo che contrasta le individualità, promuovendo l'omologazione secondo i criteri sociali e morali mutuati dall'interprezione della dottrina islamica. Conclusa la sequenza di episodi, relativamente brevi, un'ultima scena mostra un anziano rimanere assopito mentre un terremoto scuote la città, visibile nella finestra alle sue spalle, abbattendone palazzi. Immagino che ciò simboleggi il governo teocratico, immobile, indifferente, incapace di fronteggiare cambiamenti anche gravi e, probabilmente, non interessato a farlo. Dello stile degli attori, rileva la resa degli stati d'animo; ora stupiti, ora inquieti, ora rassegnati, trasmettono allo spettatore le sensazioni sgradevoli dei loro personaggi. Il ritmo è lento; non esiste azione. I nove racconti sono basati sui dialoghi. Nonostante ciò, è impossibile non rimanere emotivamente coinvolti. Cosa accade, eventuali antefatti, sono di facile comprensione. Da ciò nasce, dunque, la riflessione. Con ogni evidenza, la società di Teheran è molto diversa dalla nostra; pur nel rispetto delle differenze, e riconoscendo che quel sistema è per me alieno quanto può esserlo per alcuni iraniani lo stile "occidentale", non posso non rilevare che quelle libertà che per noi sono quasi scontate - parità di genere, critica sociale, libertà di fede, privacy - nella società, pur relativamente benestante, iraniana, sono ancora da conquistare. "Kafka" può essere ovunque ... a Roma, a Parigi, a New York, a Tokio ... ma l'assurdo, a danno della persona qualunque, nelle vicende del film, è "amplificato" dalla natura stessa della società locale, permeata dalla religione, a sua volta interpretata da (in senso molto lato) zeloti. Nitido, quanto mai attuale.

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