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Piove

Regia di Paolo Strippoli vedi scheda film

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La recensione su Piove

di mck
7 stelle

2500 anni ab Chiavica (s)condita: ogni limite ha una pazienza.

 

 

Roma: dopo (o prima, va beh, de) la “Siccità”, ecco che (finalmente) “Piove”: e mai però che un film s’intitoli “Sì, ok, oggi c’è un’arietta frescolina, è vero, però pure co ‘sto venticello friccicarello al sole si sta bene, dai!”. Ma, a parte questa imprescindibile chiosucccia in esergo, il punto è che mi sarebbe davvero tanto piaciuto iniziare questo pezzo con “Piove, Regione Lazio ladra!”, oppure “Piove, MiC (ex MiBACT) ladro!”, e invece: s’è chiuso un cerchio, e l’abbrivio che ne deriva, aperto verso futuri orizzonti, è buono: dopo “the Nest (il Nido)” (2019), l’opera prima in assolo nel lungometraggio di Roberto De Feo, e “A Classic Horror Story” (2021), di Roberto de Feo e Paolo Strippoli accoppiati, adesso è questo “Piove” a segnare l’esordio sulla lunga distanza in solitaria dello stesso Paolo Strippoli, e fra i tre lavori, a parte un paio (ma giusto un paio, o forse 3 o 4 al massimo, toh) di momenti cringe-fremdschämenici (a un ottimo Orso Maria Guerrini che scherzando dice a un comunque molto bravo Fabrizio Rongione “Sai una cosa? Ti vorrei proprio come moglie!” quest’ultimo si ritrova a rispondergli con “Hmpf! Non ti conviene: non mi ricordo più come si fa l’amore!”: scritta male, detta peggio, ma la colpa maggiore ovviamente è del regista e sceneggiatore che il copione, dialoghi compresi, l’ha steso con Jacopo Del Giudice e Gustavo Hernández: testo che contiene anche la messa in scena dei palloncini che - didascalicità uber alles - volano verso il cielo post crash, i lacrimoni di idraulico liquido sgorganti a fontanella stile cartone animato e il momento involontariamente anticlimatico della bambina che - senza “luccicanza”, ma con molta pragmaticità - fa rinsavire tutti sbottando con un bel “Basta!”, e che cazzo!), è il migliore, a cominciare da un prologo - in funzione di titoli di testa - fra i più potenti e meglio realizzati (e intendo letteralmente, senz’alcun intento iperbolico) del cinema italiano - di genere e non - degli ultimi anni [su “Aria di Neve” di Sergio Endrigo, da Alba Longa alle Fosse Ardeatine, passando per Beatrice Cenci e i Papa Re, il sangue versato nel corso del tempo entro le mura confluendo nella Cloaca Maxima assieme alla più naturale merda ha ben nutrito la suppurante melma, palta, mota del contrappasso, modellando un Golem - begli effetti speciali (con una manciata di frame gore corpo contundente vs. cranio umano e, durante l’incidente, cranio umano vs. volante) supervisionati da Giuseppe Squillaci - del “Mo’ dateci un taglio, eh!, ché qui nelle fogne c’abbiamo più sangue che merda e quando è troppo è troppo!”, à la “the Happening” di Shyamalan], continuando col cast -[accanto a Fabrizio Rongione (italo-belga, come la produzione del film, distribuito da Fandango, e interprete feticcio - per sei volte - dei fratelli Dardenne, e poi “le Parole di Mio Padre”, “Diaz - Don’t Clean Up This Blood”, “la Sapienza”, “il Primo Re”, “l’Incredibile Storia de l’Isola delle Rose”, “Orlando” e “il Ritorno”) svetta, tenendogli ben testa, il co-protagonista Francesco Gheghi (“PadreNostro”, “il Filo Invisibile”), le cui spiccate, per non dire eccellenti, doti attoriali avevo già avuto modo - e il sorprendente piacere - di evidenziare nella pagina che dedicai all’altrimenti opaco “Io Sono Tempesta”, mentre al metaforico fianco di Orso Maria Guerrini il resto dell’eterogenea e ben assortita compagnia attoriale è completato da Cristiana Dell’Anna (“un Posto al Sole”, “Gomorra - la Serie”, “Qui Rido Io”), Leon “de la Vallée” Faun (anche lui da chi scrive già più che apprezzato in “la Terra dei Figli”), Ondina Quadri (indimenticabile in “Arianna” e “Piccolo Corpo”), Elena Di Cioccio (che ricordo di aver visto l’ultima volta mentre, spedita lì da Davide Parenti e vestita da Reservoir Dog di Segrate, rompeva il cazzo in spiaggia a un Daniele Luttazzi che cercava di gustarsi un tramonto in santa pace: qui invece è svestita e generosamente in full frontal), Pietro Bontempo, Federigo Ceci, Andrea Ottavi e, ultima non ultima, dalla piccola Aurora Menenti]-, con le scenografie del veterano Nello Giorgetti (accurate, iperrealistiche, veriste, ovvero: il valore aggiunto di una valida punteggiatura che dona ritmo alla credibilità/attendibilità dell’ambientazione), con le musiche di Raf Keunen (mai invasive e sempre ben utilizzate), con la fotografia (oscura, ma non fallace) di Cristiano Di Nicola (“Vetro”) e col montaggio (Evaporazione, Condensazione, Precipitazione) di Marco Spoletini (Garrone, Rohrwacher, Di Gregorio), e terminando, in tutta questa darkness, con inequivocabili, e non ingiustificatamente gratuiti o inutilmente superflui, riferimenti visivi, testuali e financo strutturali a, per l’appunto, “the Shining”, ribaltandone il contraltare: come detto, niente “luccicanza”, ma purtuttavia e ciononostante una innocente/fanciullesca pervicacità.

 

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(Il "perturbante" - termine, applicato al film in questione, dotato di virgolette - è "consimilare", anche se l'uno è veicolato attraverso un'interazione realistica e l'altro mediante l'intervento del fantasmatico, cosa che vale anche per un'altra coppia di soglie/porte, in questo caso prima chiuse e poi aperte dall'esterno: in "Piove" dal fascistello, o forse dalla fanga senziente, e in "the Shining" dagli spettri, o forse da Danny che vuol bene al suo papà.)

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2500 anni ab Chiavica (s)condita: ogni limite ha una pazienza.

* * * ¼ - 6.5  

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