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The Old Oak

Regia di Ken Loach vedi scheda film

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La recensione su The Old Oak

di diomede917
7 stelle

CIAK MI GIRANO LE CRITICHE DI DIOMEDE917: THE OLD OAK

 

Alla veneranda età di 87 anni Ken il Rosso è sempre più rosso. E continua ad essere un militante arrabbiato e sincero raccontando squarci di Inghilterra che noi dall’esterno a mala pena intravediamo dietro la sua macchina da presa.

Con il fidato Paul Laverty, un sodalizio di ferro meglio dei nostro Battisti e Mogol, conclude la sua personale trilogia dei perdenti iniziata col pluripremiato Daniel Blake proseguita con il combattivo Ricky di Sorry we missed you e che ha adesso nell’invisibile T.J. Ballantyne il nuovo paladino dei valori mai dimenticati come la Solidarietà e Resistenza per raccontare una storia di integrazione che in realtà nasconde un temibile cambiamento ideologico di quella classe operaia tanto cara al regista.

Il The Old Oak che dà il titolo al film è un pub collocato in una cittadina mineraria del Nord Inghilterra senza nome. Un tempo punto di riferimento della lotta dei minatori contro la politica di Margareth Thatcher adesso è diventato l’unico centro di aggregazione di una popolazione sconfitta e che ha accettato con tanta rabbia e rancore il proprio destino.

Una rabbia e rancore che trova valvola di sfogo dietro diverse pinte di birra e i social network.

A gestire questo pub ci sta il silente e corpulento T.J. Ballantyne, un uomo che è come la K dell’insegna al locale. Una persona che sta in piedi a fatica e che ha bisogno di uno stimolo per farlo stare su dagli istinti suicidi che pervadono la sua mente. Questo stimolo inizialmente è la cagnolina Marra (nome simbolico che si lega al concetto più profondo di amicizia) e successivamente diventano un gruppo di profughi provenienti dall’orrore della Siria alloggiati nel quartiere, arrivo che sarà catalizzatore del fuoco che sta nascosto sotto la cenere del disagio sociale.

Ken Loach non fa sconti, fin dall’inizio sa subito da che parte stare. Da una parte il mondo visto attraverso gli occhi di Yara e la sua macchina fotografica. Gli scatti alla popolazione locale è il modo duro che usa il regista per documentare l’accoglienza e d’altra la voce fuori campo degli insulti. Un’apertura dura, dove Ken Loach cerca di trovare un briciolo di speranza.

La macchina fotografica danneggiata da un ragazzo esagitato diventa l’occasione di far incontrare le due solitudini e le due anime sofferte di Tj e Yara. Lui un uomo segnato dalla morte del padre e dall’abbandono della moglie e figlio, Lei una ragazza colta in cerca di un mondo migliore che attende buone notizie dal padre rimasto a combattere Assad.

Sarà proprio Yara con i suoi scatti a evidenziare che tra la disperazione di un popolo in fuga e la disperazione di una comunità portata allo sbando dalla politica economica del proprio Paese c’è un sottile filo che li unisce. E il luogo prescelto per questa vicinanza diventa il retrobottega dell’Old Oak dove tra pranzi solidali gratuiti e serate a tema dove poter condividere le foto della giovane siriana si inizia a intravedere una certa umanità.

Ma nel 2016 (spazio temporale scelto da Ken Loach) la rabbia, l’odio e l’ignoranza la fanno da padroni e le conseguenze per questo gesto di solidarietà e resistenza sarà molto lontano dal principio del “Quando mangi insieme, resti insieme” che ha caratterizzato l’Old Oak durante le proteste dei minatori.

Nonostante Ken il Rosso sia ancora quel puro combattente legato a valori ormai dimenticati, il suo film ondeggia tra momenti di forte intensità emotiva come il racconto del mancato suicidio o la reazione della cittadinanza alla notizia della morte del padre di Yara a un certo didascalismo di fondo forse un tantino fuori tempo massimo e non è un caso che fa cadere il suo racconto in uno spazio temporale lontano sette anni.

E quel corteo finale in bianco e nero diventa un desiderio utopistico di un mondo migliore (elemento che lo accumuna al finale del Sol dell’Avvenire di Nanni Moretti), quasi fosse il suo ultimo desiderio prima di lasciarci.

In poche parole, anche quando è in tono un po’ dimesso, Ken Loach è comunque un gran bel vedere.

Voto 7

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