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Gli Stati Uniti contro Billie Holiday

Regia di Lee Daniels vedi scheda film

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La recensione su Gli Stati Uniti contro Billie Holiday

di barabbovich
6 stelle

Cresciuta in una casa di tolleranza dove sua madre faceva il mestiere e suo padre era un emerito sconosciuto, avviata precocemente alla professione da quella stessa madre premurosa, Billie Holiday - una delle voci più importanti del jazz tra gli anni Quaranta e i Cinquanta - ebbe una vita a dir poco complicata, per usare un eufemismo. Ai trascorsi accidentati dell'adolescenza va infatti aggiunta anche l'infallibile capacità di inanellare tutte scelte sbagliate sul piano sentimentale, che la portò a collezionare uomini tanto violenti quanto parassiti, e la dipendenza dalla droga. Ma il laccato biopic di Lee Daniels (Precious, The Butler) si concentra soprattutto su un altro degli aspetti che contribuirono a fare di Billie Holiday un'infelice cronica: la persecuzione, da parte di Harry J. Anslinger (Hedlund), affinché non eseguisse dal vivo Strange Fruit, la canzone che denunciava i linciaggi su neri da parte dei bianchi e che, a detta dell'FBI, sobillava le masse del popolo di colore a cui la stessa Holiday apparteneva.
Prendendo a pretesto come filo rosso un'intervista che la grande cantante nera rilasciò poco prima della morte - avvenuta nel 1959, a 44 anni - il film setaccia una ventina d'anni (con qualche rapida escursione all'indietro) nella vita della Holiday, costeggiati dalla persecuzione perenne che ricevette da parte dell'FBI. Lo stile, a cui qualche virtuosismo (fotografico e di montaggio) gratuito non aggiunge granché, si muove piuttosto caoticamente sul solco di un cinema piuttosto classico, oscillando tra qualche eccesso oleografico e una buona direzione degli attori, che esalta la prova strabiliante - attoriale quanto canora - dell'esordiente protagonista Andra Day.

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