Regia di Carlo Lizzani vedi scheda film
Era il 1954 e il ricordo ancora vivo del Ventennio spinge Carlo Lizzani a girare un adattamento di “Cronache di poveri amanti” di Vasco Pratolini, romanzo antifascista che come ogni altro della sua specie ha avuto per ovvie ragioni una genesi piuttosto lunga, che ripercorre tutte le tappe della parabola del potere: concepito già a meta degli anni '30 ma pubblicato solo con la fine della guerra, è ambientato qualche anno dopo la Marcia su Roma in una Firenze popolare, che matura precocemente la coscienza della Resistenza a seguito di speranze rivoluzionarie disilluse e un sentimento del “vogliamo vivere!” che serpeggia inevitabilmente in clandestinità ma che fin da subito si manifesta con schiettezza nelle speranze di poveri amori, tra le case di un quartiere all'ombra di Palazzo Vecchio, cioè all'ombra della Storia. Inizia come una commedia corale e folcloristica che poi si evolve nel melodramma appassionato. È la voce narrante di Mario (Gabriele Tinti), un giovane lavoratore intraprendente e fiducioso, a introdurci in via del Corno, dove si è appena trasferito e in cui vivono numerosi personaggi caratteristici: sfaccendati e artigiani allegri, venditori ambulanti, commercianti, giovani mogli, promesse spose, vecchie affittuarie spione e vigili sebbene inferme, serve segregate ma che del mondo ne sanno più di quanto gli altri immaginino, prostitute disincantante, coppie di amanti. Tutti si scambiano battute e scherzi per la strada o da un balcone e l'altro, le voci corrono. È una comunità unita in un contesto di quotidianità e semplici, genuini sentimenti, dove si apprendono pettegolezzi, si assiste a scenette divertenti ma anche a piccoli drammi. Tra gli abitanti un damerino dannunziano, legionario a Fiume e fascista della prima ora che pretende l'autorità per controllare (è noto come il “Ragioniere”), e sgherri in camicia nera che esercitano la forza per sopraffare. Battono a manganellate il commerciante Alfredo (che è il giovane Giuliano Montaldo), novello sposo di Milena (l'angelica Antonella Lualdi), per aver rifiutato un contributo in denaro alla sezione locale del partito fascista, mandandolo in ospedale ferito gravemente. È così che il potere entra in conflitto con le masse: colpendo un membro della comunità, amato dalla moglie e dagli amici, cresce la consapevolezza collettiva del dovere di opporsi. Il forzuto Maciste, uno dei leader dei dissenzienti di via del Corno, è interpretato dall'atleta Adolfo Consolini, campione del lancio del disco dell'epoca che recitò solo in questo film; anche il destino del suo personaggio servirà a far maturare la coscienza individuale e politica dell'amico-nemico Ugo, dopo un bell'inseguimento fra le vie di Firenze in sidecar, braccati da una camionetta di fascisti. Ugo è Marcello Mastroianni, in quegli anni attore promettente in ascesa, che condivide scene indimenticabili con una specialissima Anna Maria Ferrero, che recita la serva Gesuina.
La regia di Lizzani sa essere elegantissima perché alterna o combina i primissimi piani dei volti al campo lungo, oppure giocando con la profondità di campo, generando delle sequenze e delle inquadrature davvero emozionanti: come quando sul ponte la prostituta Elisa (Cosetta Greco) sorride sorniona in primo piano, mentre sullo sfondo, sulle scalinate, gli innamorati amoreggiano in riva all'Arno. La sceneggiatura sconta la sola pecca di un finale che può apparire frettoloso: la voce narrante di Mario, cresciuto, che abbraccia con convinzione la causa dell'antifascismo e ci prospetta, nel segno del suo amore per Milena, la sua militanza nell'esilio in Francia. Ma questa in effetti poteva essere benissimo un'altra storia che non è stata raccontata. L'impegno di Lizzani invece sarebbe continuato con gli anni, anche con altri importanti adattamenti: negli anni Settanta, ad esempio, una pellicola tratta da “Fontamara” di Silone.
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