Regia di Pupi Avati vedi scheda film
Non ho letto l’autobiografia di Sgarbi, quindi non so se i mezzucci utilizzati da Avati per sensibilizzare la platea, specialmente sul rapporto tra il protagonista che ha perso l’amata moglie e il ghostwriter chiamato a “immortalarne” la loro storia, siano farina dell’uno o dell’altro. In entrambi i casi li ho trovati utilitaristici e risibili, adatti giusto al filmetto che viene fuori, e che brucia qualsiasi traccia presente di emozione soffocandola in una girandola di soluzioni pretestuose e siparietti al limite.
Non sopporto questo modo di fare cinema, questo dover stupire lo spettatore anziché farlo addentrare con tatto, questo creare esagerati contrasti iniziali, per poi farli repentinamente convergere in una sincera e costruttiva amicizia (Gifuni che sparolaccia all’inizio, e alla fine va via con la testa fuori dal finestrino a guardare Pozzetto, fa malinconia, si, ma solo nel constatare a cosa si arrivi per coinvolgere con maldestra faciloneria).
Quindi è già con il Pozzetto catatonico, rimasto nel limbo della memoria immortale della sua amata consorte, e il suo incontro con un Gifuni calcolatore, che guarda solo i suoi interessi, ad emozione e garbo zero, che Avati brucia gran parte delle sue carte, rendendo macchiette posticce e arruffate anche tutte le figure di contorno.
Salvo una luminosa Ragonese, anche se costretta a scene forzatissime, come fuga e ritorno nella dimora di lui, appena sposati, ed un bel ritaglio anche per Haber, misurato e a suo agio.. davvero poco, troppo poco..
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta