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The Fall

Regia di Jonathan Glazer vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su The Fall

di yume
8 stelle

Viviamo nel terrore di vivere, perciò scegliamo di morire.

scena

The Fall (2019): scena

Credo che il cinema sia una frontiera. Assolutamente. E i film che mi interessano di più sono quelli che hanno questo in mente.

Parole di Jonathan Glazer, uno che in ventisei anni ha girato un numero esiguo di film più un corto, The Fall, che Peter Bradshaw ha definito un haiku dell’orrore.

Alla sua frontiera Glazer è arrivato quest’anno con La zona d’interesse, ora il suo nome è su tutte le bocche, ed è giusto così.

Ma il cammino verso la frontiera è lungo e duro, conoscerne le tappe, i posti di ristoro, gli incubi notturni e le vette da cui si vede l’orizzonte può essere utile, e seguirlo al cinema  diventa anche il nostro cammino.

Abbiamo già parlato di Sexy beast, l’ultimo colpo della bestia, primo lungometraggio girato nel 2000 dopo una bella storia di video musicali per artisti del calibro di Radiohead e videoclip pubblicitari memorabili, tipo i cavalli della Guinness fra le onde.

Ecco, potremmo considerare Sexy beast un punto di ristoro, seguiranno tappe di cui parleremo, ma ora, a ridosso dell’Oscar, guardare per pochi minuti questo corto, cortissimo The fall, fa capire tanto de La zona d’interesse, se ancora restano margini di oscurità.

The fall è un incubo molto reale, ma poi, quale incubo non lo è?

Uno di quegli incubi da cui si fa fatica a uscire, e, madidi di sudore, a occhi aperti lo pensiamo, lo ripensiamo, lo decodifichiamo, alla fine sì, capiamo, con un minimo di onestà intellettuale e se non abbiamo il vezzo di raccontarci favole su noi stessi.

La caduta, the fall, avviene giù da un albero, di notte, nel folto di un bosco. Una masnada mascherata scuote il tronco finchè il poverino, anche lui mascherato, cade giù.

Le maschere, ahimè, non servivano, come si ama credere, ad amplificare il suono della voce nel teatro greco, provate a sussurrare parole al centro della scena ad Epidauro o a Siracusa, vi sentono fino all’ultimo gradino di pietra.

La maschera copriva, copre la vergogna e l’orrore di essere appartenenti a questa specie umana capace di tanto, e nel teatro il tanto era davvero tanto.

Dunque il malcapitato cade giù dall’albero e su di lui si getta la masnada che ora ha la sua preda.

E’ l’etica della “muta”, come la chiama Canetti, che sulla massa, i suoi derivati e i suoi meccanismi ha scritto cose definitive.

La muta di oggi, di questo nostro bel presente, ama il selfie, dunque il gruppo è immortalato da cellulare. Immaginiamo che finirà su Istagram.

Quel che segue è l’orrore puro che, come spesso negli incubi, non ha macchie di sangue in vista o membra sezionate, è tutto molto asettico, l’orrore è oltre il muro, potremmo dire, come nella zona d’interesse, anche se quello vero è al di qua,come quasi tutti non vogliono ammettere.

Al collo del poverino viene messo un cappio, ma non l’impiccano, lo buttano in una buca dove un getto continuo d’acqua, che proviene non si sa da dove come di norma nei sogni, dovrebbe annegarlo. I mascherati guardano soddisfatti dal bordo della buca e vanno via convinti che morirà.

Ciò non avviene, lui si libera dal cappio, dribbla il getto d'acqua e tenta una risalita che non sapremo mai se lo porterà, di appiglio in appiglio, verso la fioca luce che piove dall’alto,

Finale tipico degli incubi, il terrore resta terrore, un finale manca, i fatti non sono regolati da concatenazioni logiche, hanno a che fare con l’inconscio e ognuno lo gestisce come vuole.

E se negli incubi manca totalmente il sonoro, qui c’è quello inquietante di Mica Levi, che tornerà ne La zona d’interesse.

A Glazer, all’epoca, era bastato vedere la foto dei due figli di Trump che sorridevano orgogliosi con una loro preda di caccia, un bellissimo esemplare di leopardo (era il tempo in cui Biden ce l’aveva fatta a sconfiggere Trump, ma sappiamo che gli incubi ritornano).

Glazer fu ispirato anche da Goya e dai reportages fotografici di Robert Capa sul fronte spagnolo, ma è soprattutto il nazismo la matrice delle sue visioni:

Penso che la paura sia sempre presente e questo spinge le persone a comportamenti irrazionali. Una folla incoraggia l’abdicazione della responsabilità personale. L’ascesa del nazionalsocialismo in Germania, ad esempio, fu come una febbre che si impadronì della gente. Possiamo vedere che ciò potrebbe accadere di nuovo.

 

Dunque sì, la paura, non l'amor che move ...ecc., la paura è la nostra fedele compagna. In quanti modi declinarla? Infiniti, se basta sfiorare per sbaglio qualcuno per dovergli chiedere scusa.

Viviamo nel terrore di vivere, perciò scegliamo di morire.

E Glazer ce lo sta raccontando.

 

 

www.paoladigiuseppe.it

 

 

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