Regia di Blake Edwards vedi scheda film
Blake Edwards sa bene che il dramma è l'asse portante della commedia; è la spina dorsale da cui hanno origine le nervature sensibili di ogni storia. Occorre infatti che il dolore raggiunga anche i risvolti allegri e leggeri di un racconto, irradiandoli di vita vera, onde impedire che essi si risolvano in una fatua girandola di frivolezze. In questo film, il compito è affidato al tormento solitario e tacito della protagonista. La sua malattia, fisica e reale, non ha l'effetto di sdrammatizzare, per contrasto, la paranoica ipocondria del marito e le pene d'amore della figlia; al contrario, le contagia con la sua serietà, riportandole, come per infusione, nella loro dimensione di sofferenze profonde e personali a cui legittimamente appartengono. In questo quadro lucido e realistico, anche le digressioni scherzose si inseriscono con naturalezza, perché non sono mai introdotte artificialmente, con l'intento di abbellire o ridicolizzare, bensì scaturiscono, dai personaggi, come spontanei moti dello spirito, indizi di una positività che è l'unica energia davvero valida nel grande calderone della vita. Senza di essa l'animo si ammala, facendo della normalità una tragedia, di ogni cambiamento una perdita incolmabile, e di ogni eventualità nefasta una certezza. Una morale che è di per sé un lieto fine, ma che è tanto confortante quanto difficile da applicare.
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