Regia di Sam Peckinpah vedi scheda film
Come on and join our convoy ain't nothin' gonna get in our way. We gonna roll this truckin' convoy 'cross the U.S.A.: un paio di versi di una canzone di successo ed il talento visionario di Sam Peckinpah, a pochi mesi di distanza dalla sua ultima fatica (La croce di ferro), si "rimette in moto" (e sarà la sua penultima regia). La sfida a suon di acceleratori e freni tra il ribelle "Anatra di Gomma" (Kris Kristofferson) con carovana di camionisti al seguito e lo sceriffo Wallace (uno scatenato Ernest Borgnine), contrappuntata da una girandola di scazzottate e frenetici inseguimenti per le strade di Arizona, New Mexico e Texas, trasfigura l'esplorazione della mitologia western collocandola al di fuori del genere per lasciarne emergere le tematiche più vitali: amicizia virile, lealtà, coraggio, rispetto, eroi anarchici, tutori della legge spietati e rappresentanti del potere (i politici) corrotti, i paesaggi del deserto a far da sfondo alle carovane di "pionieri", la fuga, la ribellione, la lotta, la resa dei conti. Un western contemporaneo, quindi, con i camion al posto dei cavalli e le stazioni di servizio al posto dei saloon, lacerato però dalle stimmate del road movie sferragliante, violento e ruspante, confezionato da un Peckinpah "minore" e giocoso, sempre essenziale e sontuoso stilisticamente ma meno propenso a lasciar vibrare il lirismo poetico dello sguardo nostalgico agli "eroi che furono" in nome del suo personale, profondo, prepotente ed irrefrenabile disincanto. Ispirato allo sceneggiatore Bill L. Norton (poi regista del sequel di American Graffiti) dall'omonima e celeberrima hit composta nel 1975 da Bill Fries (con lo pseudonimo di C. W. McCall) e Chip Davis (a cui Peckinpah affida anche la supervisione della colonna sonora) e che sbancò sia le classifiche country (sei settimane di seguito al primo posto) che quelle pop di Billboard (una settimana al primo posto negli Stati Uniti ed un dignitoso secondo posto in Gran Bretagna), oltre a costituire un rarissimo caso di canzone che originerà un sequel ('Round the World with the Rubber Duck, composta sempre da Fries l'anno successivo ed "ambientata", stavolta, tra Inghilterra, Germania, Russia e Giappone), Convoy - Trincea d'asfalto sposa i tempi sgangherati della commedia fracassona con i ritmi forsennati dell'action movie sui generis: personaggi e dialoghi sopra le righe, approccio ai limiti del macchiettismo, un tripudio scintillante di ralenti, il divertimento senza eccessive pretese e l'ironia volgarotta ad annacquare l'irriverenza e l'humour nero del cinema di zio Sam. Restano l'impatto visivo e la tensione spettacolare di una regia esibita negli spasimi virtuosistici dell'ispirazione (come l'inseguimento sulle strade sabbiose che attraverso musica, ralenti e montaggio si trasforma in un surreale balletto): dai tre camion iniziali, infatti, la sfida assume proporzioni via via sempre più mastodontiche, trascinando spettacolo ed azione fino ai limiti del delirio, in cui l'imponente carovana che man mano si forma dietro il tir di "Anatra di Gomma" travolge ogni ostacolo, danzando impetuosamente verso il confine messicano e la resa dei conti con lo sceriffo Ernest Borgnine (ma c'è anche il politico che cerca di sindacalizzare la categoria dei camionisti, pronto a battezzare "Anatra di Gomma" come "un vero cowboy americano"). Immerso in una confezione spettacolare di prim'ordine, dalla smagliante fotografia di Harry Stradling Jr. al montaggio supervisionato dal Graeme Clifford di Images e The Rocky Horror Picture Show e che poi diverrà regista per cinema e TV (da Frances a Twin Peaks), sino al fidato ed affiatatissimo cast d'attori, dal Kris "Billy the Kid" Kristofferson (e ancora con Peckinpah in Voglio la testa di Garcia) alla Ali MacGraw di Getaway, dall'Ernest Borgnine di Il mucchio selvaggio al Burt Young di Killer Elite (ma c'è anche un altro aficionado di Peckinpah, James Coburn, a dirigere le riprese della seconda unità), Convoy - Trincea d'asfalto venne per l'ennesima volta strappato dalle mani del suo autore e stravolto dai produttori (senza gli scempi di Sierra Charriba ma comunque con pesanti manomissioni) e forse anche per questo motivo risulta spesso sfocato e stereotipato nella definizione dei personaggi e delle motivazioni alla base dei loro comportamenti, sfiorando spesso le banalità della demagogia e virando il pessimismo di fondo del cinema di Peckinpah in un inconsueto e beffardo happy end. Resta un'opera irrisolta, grezza, maleodorante (di sudore ed olio per motori), eccessiva, a tratti quasi didascalica, compiacente, ma comunque vitale e dirompente come la sua carovana d'eroi. Finti, senz'altro, ma pur sempre eroi di un universo ormai morto e sepolto.
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