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Pleasantville

Regia di Gary Ross vedi scheda film

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La recensione su Pleasantville

di Baliverna
5 stelle

Gli anni '50 sono stati un'era felice e serena. Anzi no, si stava malissimo, meglio il presente. Ci avete capito qualcosa? Io poco.

Comincia bene, come una simpatica variante di "Ritorno al futuro", con fantasia e buone idee, e una rispettabile realizzazione tecnica. Mi sono piaciute le tante ideuzze sul passaggio nella serie televisiva e la parodia della realtà idilliaca in essa rappresentata. La scena dove tutti i giocatori fanno sempre canestro mi ha fatto ridere di gusto. E poi la fotografia è notevole, e pure ho trovato simpatico Don Knotts nei panni del tecnico della TV. Dopo circa un quarto di film, tuttavia, ecco che la pellicola inizia a mostrare ambizioni di critica sociale, e punta ad una intricata analisi di quello che furono gli anni '50, di com'era la gente, con appunto gli anni '90 in cui fu girato il film.
Il discorso si fa ingarbugliato, tanto che io non sono riuscito a capire bene cosa volesse comunicare il regista. Innanzitutto, se da una parte la ragazza, con i suoi costumi sessuali moderni, sembra portare una salutare spruzzata di libertà (e di piacere), dall'altra la comunità ingessata di Pleasantville viene a poco a poco percorsa da disordini, rivolte, saccheggi di negozi, e violenza. Il tutto viene simboleggiato dalla comparsa graduale del colore. Se la società precedente era bella ma finta - d'accordo - quella nuova, incarnata dal sesso libero, sembra portare con sé tante brutture che prima non si conoscevano. Se poi tutto ciò viene mostrato come un processo positivo, faccio fatica a vedere la logica del discorso. Anche la violenza nelle strade è una novità positiva?
Io non ho visto alcun riferimento al maccartismo, né al comunismo stesso, ma un confuso appoggio a certi cambiamenti sociali, come la rivoluzione sessuale, il femminismo e il divorzio. Ma è proprio quest'ultimo che il regista - dopo aver rivendicato l'esistenza del male e stigmatizzato la realtà abbellita e depurata degli anni '50 - rappresenta in modo edulcorato e irrealistico, cadendo nella stessa ipocrisia che ha appena condannato. Una famiglia sfasciata come idillio di romanticismo e di vantaggio reciproco, dove tutti concordano con la bellezza di quanto accaduto. La mamma se ne va di casa con un pittore, e abbandona marito e figli: lei è felice e realizzata, commossa anzi, mentre i figli sono contenti per lei e la capiscono; come anche il marito, benché dopo qualche tentennamento. E' ovvio che le cose di solito non vadano così.
Non mi è piaciuto infine il ragazzo, che nel finale diventa un saggio che ha capito tutto, e sputa sentenze agli altri personaggi perplessi.
Come messaggio, mi pare che si demolisca la società degli anni '50 a favore di quella moderna, ma è un discorso pieno di contraddizioni e di simbologie azzardate o cervellotiche. Che ne direste della mela che lei propone a lui, cioè la donna all'uomo nel paradiso terrestre? Ma insomma, quegli anni '50 sono una società ingessata, ipocrita e asfittica, o sono un paradiso perduto?
In generale, se il regista si fosse limitato a girare una divertente satira degli anni '50 e delle serie TV di quel tempo, allora avremmo avuto una pellicola divertente e ironica; così, invece, mi ritrovo sullo stomaco un film sovraccarico e ambizioso. Un'altra cosa: il finale dura circa 20 minuti, come accade in tanti blockbuster.

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