Espandi menu
cerca
No Time to Die

Regia di Cary Fukunaga vedi scheda film

Recensioni

L'autore

AlbertoBellini

AlbertoBellini

Iscritto dall'8 febbraio 2015 Vai al suo profilo
  • Seguaci 37
  • Post 3
  • Recensioni 177
  • Playlist 1
Mandagli un messaggio
Messaggio inviato!
Messaggio inviato!
chiudi

La recensione su No Time to Die

di AlbertoBellini
8 stelle
Dilaniare il mito affinché possa ergersi in una nuova realtà ove ‘ricercare il tempo perduto’.
Quella di James Bond non è mai stata soltanto storia del cinema: la sua esistenza, fatta di peripezie rocambolesche, trasferte da un emisfero all’altro, amori impossibili e minacce più o meno tronfie da estinguere, rappresenta anche e soprattutto un prezioso manifesto socioculturale, il riflesso cristallino del mondo e della sua imperterrita metamorfosi. La creatura di Ian Fleming, figlia dell’epoca nella quale fu concepita, proprio in quanto mito, non sempre si è dimostrata capace di adattarsi, abbracciando il relativo presente. A discapito di un conservatorismo che pretenderebbe di veder tornare il 1962, oggi, nel 2021 – cosa che mai accadrà, fortunatamente –, il tempo, insieme al suo incessante avanzare, non ha possibilità di contrasto alcuno. Ecco che quindi c’è la necessità, da parte del mito, di plasmarsi ai nuovi sguardi, ai bisogni e alle mode del pubblico che variano con l’entertainment.
Encomiabile, è il caso di evidenziarlo, quanto si sia concretizzato nel contemporaneo da Broccoli & Wilson con Daniel Craig: il suo Bond, nel corso di ben 15 anni, non è stato che un effigie sbiadita dell’agente doppio zero britannico senza macchia e senza paura, al contrario, qui tormentato, imperfetto, semplicemente: umano. No Time to Die è il suo Sunset Boulevard, il canto del cigno che estende e porta a compimento la rilettura di quel classicismo appartenente ad un trascorso forse troppo spesso idealizzato, radicalizzando il discorso iniziato con Casino Royale e proseguito (in particolare) da Skyfall circa la morte, e conseguente resurrezione, dell’icona pop divenuta ombra del proprio sé. «Sai qual è il tuo più grande difetto?», lo interroga la Madeleine Swann di ‘proustiana’ memoria, al che egli le replica «Il tempismo?». La donna, costante accessorio del carisma superomistico, va ad incarnare una volta per tutte la sottile ed essenziale funzione di guida eterea, senza la quale l’eroe si rivelerebbe cieco, sprovvisto di una meta verso cui incamminarsi e ritrovare l’agognato perdono. Da qui No Time to Die esprime il suo esile intimismo: i propositi di Cary Fukunaga (primo regista statunitense nella saga) si discostano dal senso di epicità innalzato da Mendes, riportando il soggetto ad una romantica primordialialità pur sempre in linea con l’oggi, pronto allo scherno (mai come in questo epilogo gli occhi glaciali di Craig hanno rievocato lo charme di Connery e la sfrontatezza di Moore) e al faccia a faccia con la nemesi di turno. Il Lyutsifer Safin di Rami Malek è mediocre, irresoluto sia in scrittura che nella messa in scena, senz’altro ben al di sotto delle aspettative, ma l’effettivo villain di No Time to Die è lo stesso Bond, il suo ciclo vitale, la consapevolezza di essere divenuto obsoleto, o, come gli viene fatto notare argutamente da un’inedita 007, un relitto antiquato; appunto, il tempo, presente sin dal titolo e rappresentato graficamente nell’opening, accompagnata dal tema omonimo di Billie Eilish, sotto forma di orologio prima e di clessidra poi.
Non contano più la missione, eventuali direttive, il feticismo del gadget, l’interesse per l’esotico, il fascino d’un sistema apparentemente alieno ma legato al quotidiano: v’è rimasto esclusivamente l’uomo, oppresso fra incubi, rimpianti e nostalgie, denudato di quei dogmi ritenuti sacrosanti e in linea con un cinismo dissacrante, spezzato come il finestrino dell’Aston Martin crivellato di proiettili o la maschera No che cela reminiscenze dal passato.
Giunti all’estrema decostruzione dell’archetipo, è forse possibile crogiolarsi nell’illusione di avere tutto il tempo del mondo? Dopotutto, la spia che amava ci ha insegnato proprio questo: nonostante si viva solo due volte, la morte può attendere, sempre, anche nel caso di una risolutiva caduta dal cielo. Per cui, appesa al chiodo la licenza di uccidere, non è tempo di morire, ma di ascendere a una dimensione altra, celebrativa, catartica.
«Il senso della vita è lasciare qualcosa ai posteri»: l’eredità di Bond, James Bond è una storia da raccontare, sorseggiando un Vodka-Martini rigorosamente agitato e non mescolato. La novella del mito qual è e rimarrà in eterno.
 

Daniel Craig, Léa Seydoux

No Time to Die (2021): Daniel Craig, Léa Seydoux

Ti è stata utile questa recensione? Utile per Per te?

Commenta

Avatar utente

Per poter commentare occorre aver fatto login.
Se non sei ancora iscritto Registrati