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L'uomo del labirinto

Regia di Donato Carrisi vedi scheda film

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La recensione su L'uomo del labirinto

di diomede917
5 stelle

La fedeltà al testo letterario è una delle diatribe più sentite da chi ama letteratura e cinema.

La domanda che ci si fa spesso è quanto deve essere più rispettoso un film alla sua fonte di ispirazione e al tempo stesso mantenere una propria dignità di fondo.

Donato Carrisi da una sua personale interpretazione a questo dubbio amletico dirigendo lui stesso i film ispirati ai suoi successi mondiali, in fin dei conti i suoi libri sono fondamentalmente costruiti come sceneggiature cinematografiche.

Il vero problema è che la sua forte personalità in sede di scrittura non è la stessa del Donato Carrisi regista.

Già nella Ragazza della Nebbia si erano evidenziati dei peccati veniali tipici dell'opera prima, peccati perdonabili ma che sarebbero dovuti servire per il secondo film.

Probabilmente il David di Donatello come miglior regista esordiente ha fatto volare alto Carrisi e L'uomo del labirinto (pur essendo fedelissimo al libro) presenta delle evidenti falle di personalità nella messa in scena dello stesso.

Come per il libro il film viaggia su un doppio binario, due storie parallele che hanno come unico fattor comune Samantha Andretti, due ambienti totalmente diversi per raccontare le due facce della stessa storia (un ospedale asettico e una città senza nome e senza tempo fatta di paludi e di case rosso porpora), due uomini alla ricerca della verità (un dottore specializzato a trovare l'uscita dentro i labirinti della nostra mente e un detective sciatto e fallito che prima di morire di un male incurabile vuole risolvere il caso della vita).

Tutto nasce dal ritrovamento di una ragazza dopo 15 anni dalla sparizione: chi l'ha rapita, cosa è successo in questi 15 anni, dove si sono nascosti i suoi ricordi.

Il labirinto è l'artefizio, non solo scenico, che Carrisi usa per districare l'enorme matassa che ha a disposizione.

Lo spettatore, per 137 minuti, è perso in questo labirinto cercando di capire dov'è, chi sono i personaggi che sta vedendo, come sono uniti tra loro e sopratutto non deve distrarsi nemmeno un secondo per seguire la fitta trama fatti di colpi di scena e di personaggi decisamente ambigui.

Da una parte il Dottor Green profiler che aiuta la polizia a trovare il male nascosto nel subconscio delle persone (un Dustin Hoffman molto misurato e decisamente in parte) e dall'altra Bruno Genko un detective molto Hard Boiled sporco e sgualcito come il suo vestito che vaga in questa città uscita da un Graphic Novel (un Toni Servillo più convincente rispetto al Vogel de La ragazza della nebbia).

Per raccontare questo intricato labirinto che porterà alla soluzione finale, Donato Carrisi rischia molto mescolando troppi generi cinematografici non riuscendo a trovare una sua identità stilistica.

I riferimenti sono la discesa agli inferi di Seven, gli incastri sadici di Saw l'enigmista, il simbolismo di Donne Darko, il rapporto equivoco tra vittima e carnefice del Silenzio degli innocenti.

Il vero problema è che il film ha un suo fascino, ti seduce e se non perdi il filo della narrazione (sopratutto se sei un lettore di Carrisi) ti tiene pure incollato.

Ma vi è una netta separazione tra ciò che vediamo e la coerenza narrativa, tra le interpretazioni di Servilllo e Hoffman e il resto del cast, tra quello che è e quello che poteva essere, è un film non così brutto ma aveva le potenzialità per essere belllissimo sotto un'altra mano.

Purtroppo in Italia i registi di genere sono spariti e Donato Carrisi cerca di fare del suo meglio.

E' un film che si merita sia un 5 ma anche un 6 e ti arrrabbi perchè sei entrato con l'intento di dargli un 7.

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