Regia di Ari Aster vedi scheda film
Dura 140 minuti l'opera seconda di Ari Aster.
Dura 140 minuti il suo incubo chiamato Midsommar.
140 minuti che disturbano, ti fanno arrabbiare, ti fanno ondeggiare tra che minchiata sto vedendo a che bellissimo cazzo di film.
Ma sono 140 minuti che ti tengono incollati gli occhi allo schermo e masochisticamente farti torturare dalle immagini.
C'è una sorta di parallelismo tra Midsommar e il film precedente Hereditary.
Se in Hereditary l'orrore era nascosto dietro i segreti di famiglia sgretolandola, in Midsommar al centro di tutto c'è la crisi di coppia. Una crisi che non viene accettata, non viene vista, viene sopportata per la paura del "Cosa viene dopo".
Entrambi film si aprono con un lutto che avvia il viaggio all'interno delle nostre paure.
Se in Hereditary il lutto è solo accennato, i primi 15 minuti di Midsommar sono deliranti quasi claustrofobici. Un autentico esercizio di stile di Arì Aster che conferma tutto il suo talento visionario.
Per superare il lutto che ha sterminato la sua famiglia Dani si attacca totalmente, come non avesse alcuna alternativa, a Christian fidanzato ormai logoro ma incapace di dire fine alla loro storia e con lui e i suoi compagni di università intraprende un viaggio in Svezia visto come l'ultima spiaggia per salvare il salvabile.
Un viaggio antropologico all'interno di una comune dove l'amore è ancorato ai vecchi valori, quasi un banco di prova per la loro affinità di coppia, dove folklore, tradizione e droga avvicinano alla purificazione estrema.
Omaggio più che dichiarato di The Wicker Mar, Midsommar è qualcosa di più di un horror movie. A dire la verità l'aspetto più horror inteso come colpi di scena e splatter è la parte più debole e prevedibile. Aggiungerei volutamente più debole e prevedibile.
Ari Aster vuole invece evidenziare l'orrore che si nasconde dietro ai simboli, ai rituali alle tradizioni presenti dietro ogni società. Che sia essa la comune di Harga nei 9 giorni del Midsommar o una coppia che non ha più niente da dirsi ma che rifiuta di lasciarsi andando aventi per forza d'inerzia.
Ari Aster Denuncia i gesti simbolici quasi primitivi di una società arida e vuota. Che si suicida per paura di soffrire. Che si sacrifica nel senso più estremo del termine perché stufa del nulla o che sceglie chi sacrificare perché è apatico e incapace ad amare.
E l'ultimo raggelante simbolo è quel del 9 inteso come ultimo giorno e ultima vittima. Un 9 rappresentato da un ghigno, una smorfia di una donna che ha deciso la propria rinascita.
Voto 7,5
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