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I miserabili

Regia di Ladj Ly vedi scheda film

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La recensione su I miserabili

di laulilla
8 stelle

Dal regista francese Ladj Ly, originario del Mali, è arrivato nelle nostre sale – ma si trova anche su alcune piattaforme in streaming – Les Misérables. l film è la rivelazione di un regista semisconosciuto e talentuoso, che ci parla con passione della banlieu parigina di Montfermeil e dei difficili problemi della convivenza multietnica.

 

L’avvio del film è sorprendente: un mare di bandiere francesi avvolgono festosamente i corpi dei parigini di ogni età e di ogni provenienza, in tripudio dopo la vittoria calcistica del campionato del mondo. Siamo dunque nel 2018, l’anno in cui la Nazionale d’oltralpe superò la Croazia aggiudicandosi il titolo. L'apparenza è quella di un'integrazione avvenuta: tutti, indipendentemente dalle origini e dal colore della pelle, esprimono la propria gioia. 

Sfilano davanti ai nostri occhi anche molti dei ragazzini che saranno i protagonisti del film, immigrati di seconda o terza generazione, francesi per lo più di origine africana, della banlieu di Montfermeil, a pochi minuti di Métro dalla capitale. Nelle prime scene conosciamo anche i tre funzionari di polizia che il commissariato locale ha destinato alla sorveglianza di quel territorio.

Ecco, perciò, Chris (Alexis Manenti, cosceneggiatore del film insieme al regista), il duro del terzetto, con il phisique du rôle del nazistello odioso e prepotente; Stephane(Damien Bonnard), appena arrivato da Cherbourg, che vorrebbe difendere con umana comprensione la legalità; Gwada (Djibril Zonga), l’unico africano dei tre, buon conoscitore di quel territorio – abita lì – di solito buon mediatore.

Un territorio ingovernabile o forse mal governato

il regista, facendo riferimento alla propria storia personale, ci presenta, con notevoli deviazioni cronologiche, un mosaico di crimini e misfatti  che avevano segnato nel corso del tempo la difficile esistenza degli immigrati di Montfermeil, sobborgo maledetto, zona franca in cui le rivalità etniche e religiose diventavano continue occasioni di risse e di provocazioni, poco controllate dall’unica autorità riconosciuta, un “sindaco” eletto, ma senza poteri, che cercava di mantenere la tranquillità del territorio corrompendo e promettendo, pur di tenere lontana la squadra di polizia, riconosciuto e odiatissimo potere istituzionale, la faccia feroce e spietata dello stato.

La rivolta delle periferie parigine è il fatto storico al quale si ispira l’episodio terribile – meticolosamente preparato nella prima parte del film – sfociato nell’impressionante sequenza finale durante la quale, in un crescendo di tensione, i ragazzini, da troppo tempo umiliati e offesi, attirano nella loro trappola micidiale i tre poliziotti, con esiti tutti da immaginare.

 

All’origine della loro rivolta è il furto di Jonny, cucciolo di leone, allevato dai nomadi del circo Zeffirelli (!).

Era stato il piccolo Issa (Issa Perica), a impadronirsene, né l’avrebbe mai restituito, se la reazione dei nomadi, sgangherata e truce, non avesse provocato la mobilitazione della polizia e poi quella guardinga degli adulti per ritrovarlo… 

 

Buzz (Al-Hassan Ly, figlio del regista che interpreta molto bene il padre, che fin da giovane aveva coltivato la passione per le riprese col cellulare) aveva filmato, col suo minuscolo drone volteggiante su Montfermeil, anche la scena dello strano furto.

Su questi due bambini, perciò, si era diretta la ricerca e la violenza dei tre poliziotti, preoccupati delle possibili gravissime conseguenze dell’ira dei nomadi e convinti di poter impunemente minacciare e ricattare due bambini, coinvolgendone anche, fra mille diffidenze, i genitori. Ne erano infine venuti a capo, utilizzando ogni possibile mediazione fra gli uomini più autorevoli del sobborgo, dal “sindaco”, all’Imam, e anche ricorrendo, con gravi conseguenze, al fuoco delle armi e preparando, perciò stesso, il terreno alla ribellione vendicativa…

 

 

 

 

 

Un gran lavoro di sceneggiatura e di montaggio permette al film sia di superare l’impasse che verso la metà sembrava averne un po’ disperso la forza coinvolgente sia di imboccare decisamente la strada del noir, che, con crescente tensione, riesce in qualche misura, sorprendentemente, a rovesciare il punto di vista del narratore, inizialmente dalla parte dei bambini, infine incerto nel giudizio, come è giusto che sia, visto che nessuno è davvero buono, e che tutti si rivelano vittime e carnefici in un sistema perverso, profondamente da cambiare.

Victor Hugo, sullo sfondo – ma ancora molto presente – nei luoghi di Gavroche e di Valjean tuonava  contro i cattivi coltivatori; oggi, per risolvere quegli enormi problemi vanno individuati i cattivi maestri, i seminatori dell’odio, con lucida disposizione della mente, che non deve illudersi, ma col cuore vicino al dolore degli umiliati, per umanità, evitando il coagularsi dell'odio e la realtà esplosiva con la quale tutti, prima o poi, saremmo costretti a fare i conti.



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