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Lo strangolatore di Boston

Regia di Richard Fleischer vedi scheda film

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carlos brigante

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Lo strangolatore di Boston

di carlos brigante
10 stelle

Nella Boston dei primi anni ’60 un serial killer sta mietendo vittime a ripetizione. La scia di sangue si fermerà solo dopo la dodicesima donna trovata strangolata. Intanto in città è scoppiato il panico e la polizia non sa bene più che pesci pigliare.
Se qualcuno crede di trovarsi di fronte ad un classico thriller, si sbaglia di grosso! Fleischer mischia mirabilmente le carte dando vita ad un’opera versatile dall'andamento “mimetico”. Il film, infatti, può essere suddiviso sostanzialmente in due parti.
La prima segue uno schema narrativo che richiama il poliziesco, con la polizia impegnata a cercare di arrivare ad una soluzione. Ogni tentativo, però, si rivela vano. La paura intanto cresce; l’opinione pubblica è in subbuglio; tutti iniziano a sospettare di tutti.
Tony Curtis entra in scena dopo quasi un’ora (un po’ come il Bogart de “La fuga” o il Welles ne “Il terzo uomo”) e lo scenario muta. E’ in questo preciso momento che prende avvio la seconda parte.
All’improvviso ci troviamo immersi in un (apparentemente) tranquillo quadretto famigliare. Mentre la televisione diffonde la notizia dell’assassinio del presidente Kennedy, due bambini stanno bisticciando, con la madre intenta a preparare la cena. Seduto sul divano, il padre sta ascoltando attonito. Prende la bimba in braccio, la tiene per un po’, poi d’improvviso si alza, bacia la moglie ed esce in automobile. Dopo aver vagato senza meta, raggiunge un primo appartamento. Lo strangolatore ora ha un volto. Si scoprirà a breve che il suo nome è Tony Di Salvo e questa è la sua storia vera. Quella di un comune operaio dalla doppia vita e dalla doppia personalità. Un normale padre di famiglia… pluriomicida. Questo per dimostrare quanto non interessi minimamente a Fleischer dar vita ad un tipico film di genere. Desidera semplicemente documentare quanto sta accadendo. Fotografare il contesto in cui si svolgono le azioni; riportare le reazioni e soprattutto seguire il percorso di un uomo inconsapevolmente divenuto mostro.
Il termine “mostro” ha (di solito) una connotazione negativa; indica qualcosa di non umano, di orribile e riluttante. Fleischer evita di intraprendere questa strada e lo fa immergendosi nell’Uomo-Di Salvo senza disumanizzarlo; dà prova, semmai, di un profondo senso di pietà ed umanità nei confronti di questo individuo dilaniato da un incontrollabile lato oscuro. Non sceglie la facile strada della spettacolarizzazione ed evita con maestria ogni possibile inciampo (melo)drammatico. Procede, insomma, con il rigore del giornalista che riporta un fatto di cronaca; contemporaneamente, però, denota una grande capacità di introspezione che permette di insinuarsi nei meandri della mente e nelle voragini dello spirito.
Condannare è estremamente facile. Comprendere è cosa assai più ardua!
 
Anche dal punto di vista registico Fleischer dimostra di aver imboccato la strada giusta. Opta in più frangenti per l’utilizzo di split screen che frammentano l’inquadratura in tante piccole porzioni che amplificano la tensione e il senso di disorientamento. Campi e controcampi simultanei, sequenze in montaggio alternato, moltiplicano i punti di vista, rivelandosi funzionali all’andamento sincopato del film. Una regia versatile che non ha nulla a che vedere con l’estetica velocizzata del videoclip.
Evita, poi, ogni intento voyeuristico. I corpi delle vittime non vengono mai mostrati. La visione risulta volutamente occultata e lo strazio rimane fuori campo.
 
Lo strangolatore di Boston” è anche un’analisi impietosa della società contemporanea. La polizia è un’istituzione impantanata da divisioni interne e da troppa burocrazia; inconsistente ed inconcludente nelle sue indagini. I cittadini di Boston (e per estensione tutte le persone) sono una massa di individui che seppur terrorizzati dalla feroce scia di morte, ingenuamente fanno entrare in casa il primo che si presenta alla loro porta. Mentre tutti, tv e giornali, gridano al lupo al lupo, Fleischer compie un’operazione sull’uomo e sul pubblico che ricorda quanto fatto da Lang in “M”. Del resto, per il maestro tedesco in ogni persona risiede(va) un potenziale assassino.
 
Tony Curtis dà prova (ancora una volta) di essere un grande attore anche in ruoli drammatici. Il suo straordinario contributo alla resa del personaggio è indubitabile e trova il suo apice in uno dei finali più belli ed agghiaccianti della storia del cinema.
Chiuso in un manicomio ed incalzato dalle domande del vice procuratore distrettuale (Henry Fonda), Tony Di Salvo inizia a prendere coscienza del proprio lato oscuro.
Un bianco abbagliante pervade tutta la stanza; dinnanzi ad uno specchio (!), la sua mente inizia ad andare in cortocircuito. Se il Mostro-Di Salvo è stato scovato, per l’Uomo-Di Salvo questo è una trauma troppo grande da superare.
E quando scorrono i titoli di coda, lo spettatore si ritrova immerso in un silenzio rotto soltanto dal respiro affannoso di Tony, ormai sprofondato in uno stato catatonico e strangolato da quella parte di Sé che non avrebbe mai voluto scoprire.

Su Henry Fonda

Se giustamente si parla sempre della straordinaria performance di Tony Curtis, altrettanto non si fa per quella di Henry Fonda. Il suo personaggio John Bottomly è un uomo di legge totalmente differente dai comuni sbirri che lo circondano. Diverso nel portamento e nel modo di esprimersi, è una persona di cultura che non ha mai sguazzato nella feccia sociale e che per questo forse è riuscito a mantenere un minimo di umanità che gli permette ancora di vedere gli altri come persone e non come semplici casi da risolvere.

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