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Viaje a la luna

Regia di Frederic Amat vedi scheda film

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La recensione su Viaje a la luna

di OGM
8 stelle

Poesia visiva. Prigionia dell'anima. Dramma della vita che muore precipitando in se stessa.

Sceneggiatura di Federico García Lorca. Cortometraggio nato nel 1929, a New York, dalla collaborazione tra il poeta spagnolo ed il cineasta messicano Emilio Armero, in seguito alla visione di Un chien andalou  di Luis Buñuel. Il film vede la luce nel 1998, per la regia del barcellonese Frederic Amat, artista grafico, scultore, scenografo. La persona ideale per far tornare immagine un’idea nata come tale, nella mente del poeta, ed affidata, sulla carta, ad una successione scarna di parole. L’opera scritta è un elenco di descrizioni precise ed essenziali, chiuse in un ermetismo descrittivo che guida da vicino la mano dal disegnatore, mentre, nel pensiero, cancella i confini della realtà, aprendo infinite possibilità all’interpretazione. Un testo che dica Aiuto Aiuto Aiuto in sovraimpressione su un sesso di donna con movimento dall’alto verso il basso. La scena si forma  facilmente, davanti a nostri occhi. Ma il suo contenuto evidente ha i contorni tremanti, frementi per il desiderio di ambiguità che accompagna ogni significato inventato dal nulla. Il senso neonato è vergine di certezze. È nuovo al mondo, su cui si affaccia  pieno di curiosità, impaziente di mostrare tutte le sue potenzialità espressive. È una creatura giovane, meglio se un animale, che l’istinto primitivo rende plasmabile e indifesa, come una materia prima che attenda di essere sviscerata, resa carne parlante, modellata secondo una imprevedibile volontà creatrice, esplorata fino ad essere distrutta, decomposta, ricomposta, riletta in una diversa lingua. La sua anima è messa a nudo, per esibirne la fragilità: è l’espettorato della luna di Méliès, un circuito di vene ed arterie che traspaiono dalla superficie pallida di un corpo umano, una danza di membra ridotte a puro movimento, svuotate di vita, divenute arnesi meccanici, strumenti del ritmo, conduttori di elettricità. L’impulso, un atto breve, potente, incontrollato, è il motore universale, che fa vibrare i concetti sul tavolo dello sperimentatore, una volta che la sua intuizione abbia dato loro la forma rudimentale dell’archetipo: un oggetto ancora indefinito, eppure carico di energia. Questa,  intrappolata in una scientifica schematicità, che vorrebbe predisporla alla disciplina, allude invece nervosamente alla sua capacità di esplodere, in un fuoco d’artificio di violenza, di ribellione, o forse solo di bellezza e di genio.  Il minimalismo, in questa composizione geometrica in perenne stato di indeterminazione, è una miscela primigenia di incompiutezza e inquietudine: una popolazione di microbi o vermi che si agita davanti all’obiettivo, un pullulare fluido e sfumato di esistenze filamentose, impalpabili, acquatiche, che si muove senza raggiungere alcun luogo. Non è da questa parte. La porta si apre ma il percorso è sbagliato. Il viaggio è un dramma che non conduce lontano, nel cielo, in direzione della Luna, bensì verso un profondissimo, arcano – e molto doloroso - dentro.  

 

 

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