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Le Mans '66 - La grande sfida

Regia di James Mangold vedi scheda film

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La recensione su Le Mans '66 - La grande sfida

di Andreotti_Ciro
7 stelle

James Mangold, recentemente visto a dirigere l'ultimo capitolo della saga d'Indiana Jones, smentisce quello che spesso si pensa sui film che narrano di eventi sportivi, ovvero che siano destinati solamente a un pubblico di addetti ai lavori e che in particolare il mondo dei motori sia fra tutti il meno idoneo per essere trasposto sul grande schermo. In tal caso i numeri parlano chiaro: negli ultimi anni solamente Rush (id., Ron Howard, 2013) ha saputo dare vita a un prodotto accolto da pubblico e critica in maniera più che convincente.

 

Mangold riesce però a confermare il trend inaugurato nel 2013 da Ron Howard, perché anche quest'ultima pellicola, che si muove sullo sfondo di una fra le competizioni più massacranti del mondo delle corse automobilistiche, è sia un piacevole endorsement per gli appassionati di 'ruote e motori' ma anche un inno all'imprenditorialità di due fra le aziende più celebri del panorama automobilistico mondiale. Da un lato Ferrari, con macchine create su misura per pochi ma buonissimi acquirenti e dall'altro la più modesta, nelle parole non certo edulcorate di Remo Girone, nel ruolo di Enzo Ferrari, Ford: colosso del prodotto seriale che sfidando la casa di Maranello, in un territorio fino a quel momento quasi esclusivamente a suo favore, ne voleva diventare anche avversaria economica.

 

 

Ma è però sul piano psicologico che si consuma la chiave più personale e profonda del film. Ovvero l'amicizia fraterna fra due uomini visionari esattamente come le due compagini automobilistiche e che solamente nell’adrenalina della corsa riuscivano a sentirsi completamente realizzati. A impersonare la coppia di protagonisti ci sono Matt Damon nel ruolo di Carroll Shelby e soprattutto Christian Bale già noto per essersi calato in ruoli biografici, uno per tutti l'ex Pugile Dicky Eklund di The Fighter (id., David O. Russell, 2010) che gli valse il Premio Oscar come non protagonista nel 2011, e che per l’occasione ha scelto di perdere perso per trasformarsi nel pilota Ken Miles, reduce di guerra affetto da numerosi fantasmi personali e da una venerazione per la sua famiglia, e dotato di capacità che una volta incanalate gli consentivano di vedere ben oltre i propri limiti, non curante delle conseguenze nelle quali rischiava d'imbattersi.

 

Alla fine l'indubbia capacità di regia e cast è riuscire a confezionare un prodotto idoneo per tutti i palati, riuscendo a far trascorrere a chiunque le oltre due ore e mezza della pellicola senza guardare mai l'orologio e ben poco c'interessa se la finzione non ha rispettato esattamente gli avvenimenti per come si sono verificati.

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