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Joker

Regia di Todd Phillips vedi scheda film

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La recensione su Joker

di maghella
7 stelle

 

Arthur Fleck è un borderline, in cura presso i servizi sociali, vive con la mamma ammalata alla quale è attaccato in maniera morbosa. Come lavoro fa il clown in una agenzia. Il sogno di Arthur è quello di diventare un comico famoso e partecipare allo show di Murray Franklin. La dura vita di Arthur è però ben lontana dai suoi sogni di gloria. Alienato da tutti, incapace di instaurare un qualsiasi tipo di rapporto umano se non con la madre, bersaglio continuo di teppisti da strada, ad Arthur non rimane che imbottirsi di medicinali e cercare di nascondere la risata compulsiva che lo sorprende nei momenti di maggiore stress. Una risata stridula, che pare una convulsione o un lamento, che gli deforma la bocca lasciando gli occhi tristi, proprio come la maschera di un pagliaccio. L’analisi psicologica di Arthur è complessa, non deriva solo da un disagio mentale, ma piuttosto dall’emarginazione che questo gli procura nella società. Arthur è talmente isolato dal mondo esterno che individua nel presentatore Murray Franklin e nella vicina di casa le uniche persone con le quali poter avere una relazione; con il primo paterna e lavorativa, con la seconda d’amore. Ma è impossibile rifugiarsi nel proprio mondo immaginario, e tanto meno se si vive a Gotham City, che è diventata sempre più una città ostile.

Durante un viaggio in metropolitana, dopo essere stato licenziato per aver portato in un ospedale pediatrico una pistola, con ancora i vestiti e il trucco da clown, Arthur viene assalito da 2 giovani ben vestiti ma ubriachi, che iniziano a prenderlo in giro e poi a malmenarlo. Arthur reagisce dapprima con l’unica sua arma a disposizione: la risata, poi li finisce con la pistola che ha ancora in tasca.

Il triplice omicidio è la prima azione punitiva di quello che presto diventerà Joker, il giustiziere.

Da sempre ho trovato più interessante i cattivi, nei fumetti dei supereroi. La loro storia è sempre più intrigante, non sono mai nati cattivi, qualcosa o qualcuno li ha resi tali trasformandoli in maschere, dandogli poteri, prendendo le sembianze o le caratteristiche dagli animali. Joker tra i tanti è uno dei più inquietanti proprio per il sorriso deforme del pagliaccio. Il Joker combatte la società che non lo accetta, è il paladino degli emarginati, uno che se la prende con il potere che ha alimentato le differenze sociali.

Il Joker di Tod Philips racchiude benissimo questo ritratto psicologico. Si preoccupa prima di evidenziare l’ambiente trascurato e malsano dove Arthur vive, poi ne traccia i tratti affettivi mostrandolo premuroso e amorevole verso una madre che in fondo non lo comprende. Quando abbiamo dinanzi il personaggio senza maschera, l’uomo malato e fragile, che si trova più a suo agio all’interno di un ospedale psichiatrico piuttosto che a casa, inizia la costruzione della maschera del Joker. Una maschera che non nasce improvvisa, non è una causa accidentale a rendere ad Arthur il viso deforme (come succede al Joker di Tim Burton). Il Joker di Philips si costruisce il proprio trucco giorno dopo giorno, ogni traccia del suo cerone è una ferita che la società, il mondo che non lo accetta, gli infligge puntualmente. Non sono solo le botte e gli insulti, è piuttosto l’indifferenza la ferita che marca maggiormente il viso e l’anima di Arthur.

Il Joker prende il potere quando si rende conto che non è solo nel suo disagio. Il movimento di lotta verso le istituzioni che si viene a creare intorno a lui, in qualche modo lo protegge e addirittura lo salva quando è in punto di morte. Il Joker capirà che deve eliminare proprio tutti quelli che fino a quel momento aveva ammirato e amato: sua madre per prima, che gli aveva mentito sempre sulle sue origini: eliminata. Murray Frenklin, che lo aveva deriso e involontariamente battezzato con quello che sarebbe diventato il suo nome da battaglia: eliminato.

Ora, finalmente libero, può finire il suo trucco marcando il sorriso con il rosso del suo sangue.

L’eroe vero del film, però, è solo uno: Joaquin Phoenix. Phoenix in questo ruolo dà una grande prova di attore, ma non solo, riesce a dare corpo ad un personaggio, che nella memoria collettiva è ben delineato, in maniera del tutto originale e nuova. Vedere Arthur senza cerone sul viso, spesso a torso nudo, deformato da quella risata che lo perseguita e che lo coglie nei momenti più impensati, lo rende umano, gli leva la componente fumettistica. La mutazione in Joker è lenta, comincia dall’infanzia che il film non mostra, ma che lo spettatore immagina. Tutto questo aspetto non visibile ma percepibile del personaggio, è possibile grazie all’interpretazione di Phoenix, che ha una capacità di trasmettere con la propria mimica e con il linguaggio posturale un disagio e una fragilità tale da rendere alcuni passaggi narrativi quasi inutili. La pecca del film infatti è spesso registica. Ci sono dei passaggi, soprattutto sul finale, che appaiono inutili e dilungano concetti già chiariti o che addirittura era forse meglio lasciarli nell’incertezza di una ambiguità narrativa. Pare quasi che il regista non si fidi del tutto del lavoro che sta facendo, o meglio, che non sia sicuro di quanto lo spettatore lo possa comprendere. Quando si ha la fortuna di avere una interpretazione come quella di Phoenix, si possono benissimo tralasciare dei pistolotti a spiegazione di ciò che era ben chiaro a tutti. Ci vuole anche il coraggio di trovare un finale che sia uno solamente, senza trascinare l’epilogo troppo a lungo. Si rischia (almeno per i miei gusti) di perdere l’effetto emozionale, a diluirlo nello spazio narrativo, facendolo calare di potenza. Anche il fatto di essersi ispirato così esplicitamente ai film di Martin Scorsese (“Re per una notte” e “Taxi Driver”) hanno in qualche modo distratto più volte lo sguardo dello spettatore (o per lo meno il mio), non tanto per fare degli inutili paragoni, quanto proprio per un lavoro di memoria incondizionata dovuta a dei gesti inequivocabili: come non pensare a Travis Bikle –ad esempio- quando la vicina di casa e poi Arthur si puntano più volte le dita alla tempia nel mimare il colpo di pistola? Una distrazione inutile, la citazione o “l’ispirazione a” o l’omaggio, sono altra cosa.

Quello che porterò dentro di me di questo Joker, è la sua sensibilità, il suo talento, la sua voglia di essere accettato. Vederlo danzare come Mick Jagger è un piacere per gli occhi e trasmette un senso di liberazione che difficilmente altri personaggi da fumetto hanno saputo darmi sul grande schermo.

 

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