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Jojo Rabbit

Regia di Taika Waititi vedi scheda film

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Barone Cefalu

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La recensione su Jojo Rabbit

di Barone Cefalu
4 stelle

Nelle ore successive alla visione del film di Waititi continuo a meditare su dove sia la morale in ciò che ho visto. Penso ancora che il limite tra il dramma, o l'orrore, ed il comico o l'ironico, sia una linea sottilissima che davvero in pochi dovrebbero avere la presunzione di percorrere. Finora credo che le uniche strade che mi abbiano convinto siano quelle prese, coraggiosamente, da Chaplin che conosce bene il clown, cioè quella figura eternamente in bilico tra sentimenti diversi e che incarna perfettamente l'idea di pena, sofferenza e fatalità di un mondo cinico, e che in parte è stata utilizzata in altro modo da Benigni ne "La vita è bella", o quella di Lubitsch capace di stemperare il dramma con maestria utilizzando la maschera degli attori. Anche la comicità surreale ed estrema che ha avuto l'apice negli anni '80 da parte di registi come i fratelli Zucker (Top Secret) o John Landis si può accettare, perché è una assurdità dichiarata che pende tutta da un lato, senza volersi prendere sul serio.

Invece Jojo Rabbit è un film di grande presunzione perché si atteggia a film di formazione, come se ci fosse un cammino ed una presa di coscienza finale che in realtà, secondo il mio punto di vista, manca totalmente. Siamo davvero lontani, per esempio, dal Signore delle mosche di Golding. Quel che noto invece è una forte mancanza di coraggio da parte del regista di trattare il tema con un'idea precisa. Fin dai titoli iniziali c'è una voglia di compiacere un pubblico dal mostruoso sorriso plastico Lynchiano, con colori e comiche banali zigzagando con totale incoscienza tra un lato e l'altro di questa linea con furbizia per evitare di esser preso sul serio. Non è favola, non è comico, non è serio, non è patetico (si, il film in realtà lo è) ma soprattutto pecca di intelligenza. Come bambino oltretutto mi sentirei offeso. I bambini, durante la guerra, crescono più in fretta di quel che pensa il regista, di qualsiasi schieramento facciano parte. Invece sembra che Waititi cada nella sua stessa trappola, come un gioco di specchi, dando a Jojo un libro in cui sono racchiusi tutti i luoghi comuni sugli ebrei, ma a sua volta il film è una scatola di luoghi comuni.
Se l'intenzione finale era quella di non aver timore di colui che è diverso vedendolo come un mostro, in un'epoca in cui la xenofobia ed i nazionalismi sembrano crescere a dismisura, trovo che la soluzione adottata sia inconsistente e superficiale. Banale. Jojo non ha una vera presa di coscienza, anzi trovo orribile l'egoismo possessivo mascherato da amore di tener ancora rinchiusa la ragazzina ebrea nell'intercapedine di casa dopo che gli americani hanno liberato la città. Quello si che è un atteggiamento autoritario, per poi ballare pochi secondi dopo sulla soglia di casa alle note di "Heroes" di David Bowie cantata in tedesco.
Non so se c'entra molto, ma vorrei comunque citare alcune parole di Giorgio Vasta, dal libro Il tempo materiale: "In questa polaroid siamo tutti ironici. E a me l’ironia fa male. Anzi, la odio. Non solo io, anche Scarmiglia e Bocca. Perché ce n’è sempre di più, troppa, la nuova ironia italiana che brilla su tutti i musi, in tutte le frasi, che ogni giorno lotta contro l’ideologia, le divora la testa, e in pochi anni dell’ideologia non resterà più niente, l’ironia sarà la nostra unica risorsa e la nostra sconfitta, la nostra camicia di forza, e staremo tutti nella stessa accordatura ironico-cinica, nel disincanto, prevedendo perfettamente le modalità di innesco della battuta, la tempistica migliore, lo smorzamento improvviso che lascia declinare l’allusione, sempre partecipi e assenti, acutissimi e corrotti: rassegnati."
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