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Volevo nascondermi

Regia di Giorgio Diritti vedi scheda film

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La recensione su Volevo nascondermi

di barabbovich
7 stelle

Vi aspettate il classico film biografico con prologo strappalacrime e gran finale, costellato da divagazioni più o meno romanzate? Allora lasciate perdere, perché questo biopic tutt'altro che accomodante non farà affatto al vostro caso. Già, perché Giorgio Diritti - allievo di Olmi e qui al suo quarto film di finzione in 13 anni - va per la sua strada, senza lasciarsi contagiare dall'appeal consolatorio del cineromanzo agiografico. Per raccontare la vicenda - umana prima ancora che artistica - di Antonio Laccabue (cognome poi cambiato in Ligabue a seguito delle vicende legate al difficilissimo rapporto col patrigno che ne sposò la madre e che gli diede il cognome), Diritti opta per un registro crepuscolare che non rinuncia all'uso del vernacolo, mettendo in campo un crogiuolo linguistico dal quale emerge con forza il meticciato del protagonista. Che è un meticciato non solo legato alla parola, ma anche a una condizione esistenziale ibrida, in cui il talento e la fama del pittore naïf - emerso grazie al mecenatismo dello scultore Renato Marino Mazzacurati - si combinano con la sua inclinazione a rimanere sempre ai margini. Quei margini che sono fatti di ripetute istituzionalizzazioni psichiatriche, di esplosioni furiose e animalesche (come animali erano in gran parte i soggetti dei suoi dipinti e delle sue sculture), di stravaganze come il collezionismo di motociclette e di un'endemica incapacità di relazione con le donne. Diritti racconta tutto questo in maniera sghemba, con diverse ellissi e qualche escursione onirica, servito da un Elio Germano in stato di grazia, per il quale l'orso d'argento per il miglior attore al 70esimo festival di Berlino non è forse un riconoscimento sufficiente, ma capace di pareggiare la sfida quasi impossibile col Ligabue che Flavio Bucci interpretò in televisione più di quarant'anni fa.

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