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La terra dell'abbastanza

Regia di Damiano D'Innocenzo, Fabio D'Innocenzo vedi scheda film

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La recensione su La terra dell'abbastanza

di omero sala
7 stelle

 

locandina

La terra dell'abbastanza (2018): locandina

 

Il titolo riecheggia nell’assonanza un famoso film di Wenders, La terra dell’abbondanza, un’opera incerta  e forse un po’ declinante che racconta la crisi dell’America dopo l’11 settembre (nella colonna sonore Wenders ha inserito una canzone di Leonard Coen che ha lo stesso titolo del film che contiene anche reminiscenze bibliche, esodi e terre promesse). Sostituendo il termine “abbondanza” con “abbastanza”, i gemelli D’Innocenzo ribaltano il senso della citazione con una caustica genialata che offre la chiave d’interpretazione al loro tristissimo film sfrondandolo di ogni ambiguità (e rifiutandosi di usare per la tragica storia sia i riferimenti espliciti che l’ironia pretestuosa delle rievocazioni bibliche trionfalistiche e delle epopee western). Il giochetto sottolinea, se ce ne fosse bisogno, la diversità di due condizioni di crisi: quella dell’epopea americana che ha del biblico ma narra il declino di sogni arroganti e quella della periferia romana che è invece la presa di coscienza di un decollo mai iniziato.

 

Mirko e Manolo sono due giovani amici di borgata. 

Una notte investono casualmente un pedone che ci lascia la pelle. 

Scappano. Si viene a sapere che la vittima è un pentito di una banda criminale della zona, un “infame” destinato a finire sparato; i due, anche per i maneggi parassiti di Danilo, che di Manolo è il padre fallito (interpretato da un credibilissimo Max Tortora), riescono ad avvicinarsi al clan dei delinquenti e diventarne pedine sacrificabili (acquistando però un certo prestigio nel mondo criminale di borgata e uscendo dalla marginalità per essere ingoiati dal tritacarne della malavita); l’incidente-problema insomma si rivela un’opportunità; possono tentare la “svorta”, non sapendo che invece di elevarsi epicamente dalla melma, sprofonderanno squallidamente nel baratro a cui erano comunque predestinati.  

Negli occhi dei due protagonisti si legge contemporaneamente la ingenua innocenza degli ex-bambini (vedi l’incanto di Mirko davanti ai dolci in pasticceria, ma anche il suo correre a rifugiarsi dal padre scombinato di Manolo e gli incontri di Mirko con la impotenza disperata e rassegnata della madre), la sfrontata allegria degli adolescenti pieni di progetti imprecisi (vedi il tragitto in auto dell’incipit) e la cupa ostinazione di emancipazione (vedi la mortificante cena con la brigata dei malviventi). 

Il viaggio in auto verso l’ultima missione, un omicidio, rievoca l’incipit: ma il primo era un momento pieno di disordinate illusioni. il secondo è intriso di rassegnata disperazione.

Agli autori bisogna riconoscere il merito di sapersi muovere con appassionata empatia nelle periferie amorfe di Roma, nelle terre di nessuno che circondano ogni metropoli, nelle desolate lande abbandonate all’incuria ambientale ed etica che hanno intorno qualcosa di non finito. Una empatia che non si permette (e non ci permette) giudizi e condanne: il degrado irrimediabile può essere solo guardato con delicata compassione.

I primi dieci minuti del film, coi due amici in macchina nella notte, sono folgoranti.

L’ultima colazione di Mirko con la madre è annichilente.

La recitazione  è stupefacente (e anche i silenzi). Forse, ora che il flm è sulle piattaforme - Rai play e Prime - sarebbe opportuno inserire l’opzione dei sottotitoli.

Un solo altro appunto: io ho una spiccata idiosincrasia per i finali didascalici; e avrei chiuso dopo l’incontro di Mirko con la madre, quando Mirko, sulla porta, chiama la madre (ah, mà!) per farla girare e la guarda senza dir nulla.

 

Certe atmosfere ricordano il geniale Claudio Caligari (vedi il suo cupo e splendido Non essere cattivo del 2015); le ambientazioni sono quelle pasoliniane di Citti, immutate dopo mezzo secolo, come sono immutate, se non peggiorate, le condizioni di chi ci abita. C’è anche Garrone in questo film, soprattutto quello del livido Dog man del 2018 (un film che infatti ha visto la collaborazione alla sceneggiature dei gemelli D’Innocenzo).

 

L’abbastanza per sopravvivere diventa disperatamente l’abbastanza per morire.

 

 

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