Regia di Rob W. King vedi scheda film
Interessante spunto per un mix di azione e fantascienza. Sfortunatamente le buone idee terminano nella presentazione del distopico futuro in questione, lasciando poi campo a una seconda parte zoppicante. Velo pietoso per il banale e arbitrario titolo italiano. VOTO: 4
La cosa migliore di quest'opera del poco noto Rob King è il titolo: “The Humanity Bureau”! Perché si chiami così diventa evidente dopo pochissimi fotogrammi e regala inoltre un minimo di profondità a un film altrimenti non esattamente impeccabile. Ora vai tu a sapere perché i distributori italiani lo hanno reintitolato, decapitandolo, “2030 – Fuga per il futuro”. Anche senza voler prendere in considerazione il banalissimo sottotitolo esplicativo, resta il mistero di dove sono andati a scovare quel 2030, visto che nell'originale si parla solo di un imprecisato “near future”. Davvero una scelta inspiegabile e idiota, nonché irrispettosa verso gli autori. Ma vabbeh, passiamo oltre. Il film è ambientato in un non meglio precisato futuro (o nel 2030, se preferiamo la versione italiana) nel quale le risorse naturali sono ormai insufficienti a garantire la sopravvivenza dell'intera popolazione, e una speciale agenzia (lo “Humanity Bureau” del titolo originale) è incaricata di selezionare e deportare in un misterioso “New Eden” tutti quei soggetti che consumano più di quanto producono. La messa in pratica della negazione dei principi marxisti, insomma. Noah Cross è un solerte agente di detto bureau, fino a che una scoperta lo porterà a, diciamo così, cambiare bando. Da qui la fuga del titolo nostrano. L'idea di partenza mi è sembrata eccellente, nient'affatto banale e foriera di sviluppi davvero interessanti. Alla prova dei fatti però, il meglio risulta di gran lunga la prima parte, quella in cui King e il suo sceneggiatore Dave Schultz imbandiscono per così dire la tavola dove dovrà aver luogo il banchetto. Il resto, il banchetto in se, si rivela invece una mezza delusione, con alcuni snodi davvero inverosimili e altri sviluppati in maniera inspiegabilmente frettolosa. Idem dicasi per il pavido finale scelto. Per quel che riguarda le interpretazioni, Nicolas Cage è ormai di plastica e quindi difficilmente può apportare qualcosa di positivo (al di là del nome famoso facilmente vendibile, voglio dire), mentre Sarah Lind mi è sembrata troppo giovane e bella per il ruolo assegnatole. Da un punto di vista strettamente tecnico il film va invece a posizionarsi su livelli di tutto rispetto, contrariamente a quel che accade per altri titoli dell'ineffabile Mr. Cage, a volta davvero b-movies bell'e buoni.
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