Regia di Damien Chazelle vedi scheda film
Trattare un evento così storicamente rilevante senza la bussola di un approccio documentaristico richiede coraggio. L'intento è indagare la concreta umanità di chi compie la grande impresa, comprendere i retroscena esistenziali che generano l'abnegazione necessaria all'atto eroico. Il film individua nella morte della figlia il motore primo che spinge Neil Armstrong. Non so se questa interpretazione abbia una sua veridicità storica, ma non è importante. Importante è l'intento di rappresentare la lacerante contraddizione alla base dell'esistenza umana dove l'essere sperimenta sia l'esistere che la consapevolezza del proprio destino di eterna non esistenza. La morte di un figlio ben esprime il dolore irriducibile di questa contraddizione. E se il lutto ne rappresenta un polo, l'uscire da sé stessi cercando di rubare una fetta di immortalità al cosmo ben può rappresentarne l'altro. In questo trovo che il film centri assolutamente il punto. Il problema è che il regista non trova il registro espressivo giusto per rappresentarlo. I dialoghi molto rarefatti ed il quasi mutismo del protagonista, un Ryan Gosling monoespressivo, non sono scelte, ma una resa alla incapacità comunicativa. Questo film è come un robot che vagheggia di un'anima che non ha. Così i suoi unici punti di forza divengono le magistrali fasi di azione e le suggestioni visive. Per il resto si trascina stancamente in modo prolisso e noioso. E lascia una fastidiosa sensazione di incompiutezza e, paradossalmente, di superficialità.
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