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Go Home - A casa loro

Regia di Luna Gualano vedi scheda film

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La recensione su Go Home - A casa loro

di undying
4 stelle

Film tendenziosamente politico che prende posizioni di comodo, disegnando la nostra nazione come afflitta da una deriva estremista che è, per fortuna, solo immaginata. Zombi poco, o per nulla, pervenuti.

 

locandina

Go Home - A casa loro (2018): locandina

 

Roma. Una protesta di affiliati all'estrema destra, diretta ad un centro sociale e contro l'immigrazione clandestina, viene bruscamente interrotta da una misteriosa epidemia che ha trasformato alcuni uomini in zombi. Enrico, uno dei manifestanti, riesce ad introdursi nella struttura e per sopravvivere è costretto a convivere con alcuni protagonisti di quel mondo che tanto disprezza.

 

scena

Go Home - A casa loro (2018): scena

 

La giovane regista Luna Gualano aveva esordito nel 2014 con un horror che nessuno si è filato: Psychomentary. Un thriller che va oltre il livello amatoriale e supera il piano meramente exploitation per veicolare valori "morali" e di "civiltà". Al ritmo di Troppo poco, cantato da Piotta, l'autrice prova a disgustare almeno per metà film; poi la riflessione, mai banale, sui limiti della (in)giustizia lascia sorpresi. È un tipo di cinema intelligente e capace di sintesi come poche altre volte capita di vedere. Detto questo, con il successivo Go home, la regista scivola irrimediabilmente nel cinema politico, quello che tendenziosamente si pone a sinistra e che, come spesso succede nella maggior parte dei casi (Carpenter, Romero o anche Argento rappresentano una felice eccezione), pur trovando l'accoglienza critica, delude non poco il pubblico. Tirare in ballo Romero e il suo La notte dei morti viventi (o ancor più Zombi) è a dir poco operazione parziale.

 

scena

Go Home - A casa loro (2018): scena

 

La prima considerazione da fare è che non siamo di fronte ad un film horror. Genere che dovrebbe essere garantito dalla presenza dei "ritornanti", qui realizzati con trucchi quasi inesistenti, e da elementi che dovrebbero spaventare o quantomeno disgustare. Non esiste uno straccio di motivazione su quel che sta accadendo fuori dal centro sociale. I dieci minuti conclusivi non sono certo sufficienti, in un film di quasi novanta, a farlo rientrare nella categoria. Pare invece di trovarsi di fronte ad una visione del mondo distorta, questo sì: dove il cattivo, razzista, è sempre italiano (o comunque bianco) e l'immigrato, inevitabilmente, vittima buona e molto male accolta in questo paese incivile. Questa dicotomia spinta all'estremo, nuoce alla narrazione -impallata per oltre un'ora- che diventa lenta, televisiva e vuota (anche di contenuto) nell'infinito evolversi all'interno del centro sociale. Dove (e questo va dato atto che è vero) i clandestini parlano inglese, mentre gli italiani fan fatica a dire due parole in un altro idioma. Però il diavolo non è così brutto come lo si dipinge, e anche gli angeli (ribelli) un tempo sono caduti. L'idea del soggetto è venuta allo sceneggiatore, Emiliano Rubbi, dopo avere assistito all'aggressione -senza motivo- di un immigrato da parte di un cretino (quindi zombi) italiano. Ma come è vero che è cretino un razzista, non si può dire che sia razzista la cronaca: provate a digitare su Google "clandestino alla guida senza patente", oppure "stupratore" e "omicida" seguito dal termine clandestino. Forse, chi ha pagato le conseguenze di questi immigrati criminali, dovrebbe usare la più moralista parola di "transitante". Con questo nessuno può negare che stiamo vivendo anni difficili, ma da qui a vedere a senso unico il problema ce ne corre. Go home pende in questa supponente e facile posizione "di comodo", trovando ovviamente buona accoglienza critica (addirittura portandosi a casa il premio Mario Bava nel 2018!). Ma tecnicamente non si discosta da uno dei più pesanti film sinistroidi firmati Moretti o Bellocchio. Come che il giusto ed il torto fossero di due colori distinti (magari quelli della pelle). Resta invece da apprezzare l'imponente lavoro (quasi tre anni) sostenuto dalla Gualano per arrivare a raggiungere il budget, nonché l'aver fatto calcare il set a veri immigrati. E una nota di merito anche per l'ottima soundtrack, in particolare per la scelta degli eccezionali brani composti da Il Muro del canto e dal gruppo reggae sardo Train to Roots.

 

Antonio Bannò

Go Home - A casa loro (2018): Antonio Bannò

 

"Se dovessimo svegliarci una mattina e scoprire che tutti sono della stessa razza, credo e colore, troveremmo qualche altra causa di pregiudizio entro mezzogiorno." (George David Aiken)

 

 

F.P. 06/11/2019 - Versione visionata in lingua italiana (durata: 86'01")

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