Regia di Alice Rohrwacher vedi scheda film
Nella comunità di braccianti al servizio della marchesa Della Luna in una qualche area dell'Alto Lazio, Lazzaro è il maschio adulto più giovane, un adolescente che – come tutti – non sa che cos'è la scuola e vive solo in funzione del lavoro nella piantagione di tabacco e delle incombenze a cui attendere su indicazione dei più anziani. Schernito dalle coetanee (cugine o amiche), terminale di tutti i lavori che i maschi più grandi non vogliono fare, Lazzaro scopre un po' di amor proprio quando il figlio della baronessa, probabilmente di pari età ma mentalmente e culturalmente distante 1000 miglia, in una pausa dalla vita di città fa conoscenza con lui e gli fa credere di essere il suo fratellastro ….
La Rohrwacher non arriva per caso. Si percepisce che dietro di lei c'è un mondo che va dal Neorealismo alla Zavattini fino a Pasolini. Compresa quella attenzione per gli ultimi e i diseredati, pur inseriti in un contesto che – collocato temporalmente in un'epoca apparentemente lontana (qui si usa l'espediente della mezzadria mantenuta con “Il grande inganno”) - poi viene riproposto ai giorni d'oggi, e con protagonisti diversi (i nuovi schiavi che scorrono ogni giorno davanti ai nostri occhi).
Lazzaro è la metafora della innocenza umana che si fa passione in un senso quasi cristologico (solo che qui una sola risurrezione non basta) di fronte alla sofferenza del vivere, con quella pervicace volontà di recuperare anche di quel poco di buono che c'è negli altri. Lazzaro è la fiducia incontaminata verso il prossimo, che gli impedisce, pur in un mondo in cui il bene e male hanno confini così netti ed evidenti, di formulare un qualsivoglia giudizio o accusa.
La Regista dipinge un quadro dai toni poetici, senza mai rinunciare a raccontare la complessità delle situazioni e con un tocco di critica sociale tanto fine da apparire impercettibile, ipotecando – dopo i riconoscimenti a Cannes (Prix du Scenario) – forse anche un David di Donatello.
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