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Lazzaro felice

Regia di Alice Rohrwacher vedi scheda film

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siri

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La recensione su Lazzaro felice

di siri
stelle

La pittura, la letteratura, la musica, il teatro, il cinema e tutte le altre arti sono invenzioni dell’Uomo. Né Dio né lo Spirito Santo sono responsabili delle creazioni di Michelangelo, Shakespeare, Dickens, Beethoven, Verdi, Manzoni, Chaplin e altri conoscitori dell’Uomo così profondi da rappresentare, tramandandolo a noi, il dramma della vita in modo completo e chiaro, e la nobiltà di chi, anche inconsapevolmente, reagisce alla tragedia che ogni religione, mentitrice per natura, nasconde promettendo una felicità ultraterrena. È per questo che Lazzaro felice, oltre che un autentico capolavoro del panorama contemporaneo, è un’opera profondamente laica, tanto nel suo legame con la terra e la natura quanto nella rappresentazione di un’umanità brulicante nella povertà, nella miseria e nell’ingiustizia in una città fatta di smog, ferrovie, silos, erbacce, fogne, tombini, ma pure discoteche, banche, portici e palazzi decaduti, tra Dostoevskij e Berlusconi, nel dipingere un quadro umano che fa da cornice e da sfondo al fulgore imponente del personaggio del title role: Lazzaro. Un ragazzo che, senza stare a raccontare la trama (miracolosa, per giunta), vive la propria vita e i rapporti umani con la spontaneità e la grazia di chi non conosce il male, pur venendone a contatto durante tutto il corso della sua esistenza. Che questa sua purezza gli permetta il miracolo per cui quell’altro Lazzaro, quello dei Vangeli, è famoso, non è altro che un pretesto per raccontare il dipanarsi di una quotidiana catena di sopraffazione il cui ultimo anello è lui, vera e propria maschera chapliniana, ma con la monumentalità di un Santo, uno di quegli uomini che, forti della loro fede in un Dio che non può esistere, vissero su questa Terra provando sulla loro carne la povertà, la solitudine e il supplizio. È bene, a questo punto, dire subito che questo è un film da vedere prima di tutto con il cuore, senza stare a preoccuparsi troppo della recitazione, della fotografia e della trama, poiché se siete umani, e non ritenete che nulla di umano vi sia estraneo, durante la visione sorgerà spontaneo dai vostri petti un pianto liberatorio e catartico, in grado di lavare momentaneamente tutte le brutture di un mondo barbaro, crudele e apatico, dove chi è buono e giusto viene costantemente calpestato e deriso, dove la bontà e la gentilezza sono cancellate, annichilite, ridotte in frantumi da valori corrotti e bugiardi, dove tutta la stupidità del potere e del denaro ha schiacciato per sempre ogni felicità possibile. Fatta questa premessa, e volendo parlare degli aspetti più tecnici di Lazzaro felice, il modello di narrazione adottato da Alice Rohrwacher è di impianto squisitamente teatrale: il film, oltre a una divisione in atto uno e atto due, si muove ondeggiando e alternando sapientemente il comico e il tragico, svelando la sua portata grandiosamente drammatica, in grado di colpire come una bomba in pieno petto qualunque essere umano che abbia avuto a che fare con la cattiveria, l’arroganza, l’ingiustizia, l’incomprensione e la freddezza di quegli altri esseri umani che tormentano il prossimo per riempire il vuoto della propria misera esistenza, tanto che il punto di forza del film sta tutto nella sua pietas dalla violenza inaudita, e pure restituitaci da una regia delicata come la carezza di una mamma, dove perciò risaltano più forti e inaspettate le sorprese del montaggio e della messa in scena.

Le prestazioni attoriali sono tutte eccellenti: spiccano l’esordiente Adriano Tardiolo, che difficilmente si scrollerà di dosso l’ombra di questo personaggio in eventuali ruoli futuri (la stessa ‘maledizione’ di Indiana Jones per Harrison Ford, segno che più che un ruolo si è recitati se stessi), Nicoletta Braschi (in pochi l’avrebbero detto), Alba Rohrwacher, Luca Chikovani, al suo esordio anche lui, e Natalino Balasso, fuoriclasse teatrale in piena forma. Insieme agli altri attori vanno a comporre un panorama umano che si colloca in quella tradizione tutta italiana, da Basile a Pasolini, in cui i soldi non ci sono mai e la fame c’è sempre, e anche i ricchi sono in realtà degli straccioni travestiti: in questo la sceneggiatura, vincitrice del relativo Prix a Cannes 2018, è perfetta interprete. Le due restanti componenti, visiva e sonora, sono straordinarie come tutto il resto: una fotografia afosa e ‘vivaldiana’ nella prima parte, capace di far sentire addosso allo spettatore il caldo e il prurito della mietitura estiva in una imprecisata zona del centro Italia tanto quanto il vento elettrico annunciatore di un improvviso temporale in campagna, ma anche, nella seconda parte, la puzza appiccicosa di fogna negli angoli più sordidi di un qualunque capoluogo del nostro Paese, diventando ben più grigia e livida; e una colonna sonora composta da brani celebri di Bellini e di Verdi arrangiati per carillon, per pianoforte, per violino, per coro di contadini mentre bevono un bicchiere di vino rosso, a ribadire ancora una volta l’italianità ritrovata di una parabola popolare come ce ne sono tante, ma tutte appartenenti a un passato dimenticato. Nel simbolismo di Lazzaro felice, tra lupi e fionde, c’è forse anche un invito a ritornare alla narrazione simbolica di fiabe, parabole e racconti popolari, un tassello che manca alla cinematografia italiana, storicamente più legata ad altri generi, come la commedia, l’horror e il western, se si escludono alcune rare eccezioni come il recente e meraviglioso Racconto dei racconti di Matteo Garrone. Ma tutto questo lo si può benissimo mettere da parte: Lazzaro felice, essendo una parabola, è destinata a tutti, colti e ignoranti, e il suo insegnamento doloroso e commovente è in grado di arrivare al cuore di chiunque sia disposto a guardare il Cinema mettendo da parte pregiudizi e preconcetti sui film italiani, i film lenti, i film intellettuali e i ‘film dei Festival’: basta essere umani per rendersi conto della grandezza e della portata incommensurabile di un film in grado di rendere colui che lo sta guardando un singhiozzante uomo migliore.

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