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Proud Mary

Regia di Babak Najafi vedi scheda film

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alan smithee

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La recensione su Proud Mary

di alan smithee
5 stelle

Una tenace killer professionista porta a termine con la solita accurata perfezione anche l'ultima sua missione in ordine temporale, che prevede l'eliminazione di un allibratore di colore. peccato che, una volta eliminata la vittima designata, la donna si accorga che nella stanza adiacente c'è un bambino, di cui la vittima risulta essere padre. Un killer professionale avrebbe dovuto  far fuori pure il ragazzino, indiretto testimone, ma la donna non se la sente e fugge, travolta da un rimorso incontrollato.

Lo stesso che la spinge, qualche anno dopo a rimetteris sulle tracce del ragazzino, finito pure lui nel mondo della malavita, ma di basso rango, e finendo quasi per adottarlo, senza tuttavia rivelargli i particolari inerenti l'omicidio del genitore. Ci penserà, per questo, la famiglia ricca di faccendieri neri per cui lavora Mary, che tenterà inutilmente ed invano di lasciarsi alle spalle quel mondo lercio, trascinata in basso dai suoi stessi padrini/padroni.

Per la regia del cineasta iraniano naturalizzato svedese Babak Najafi (suo il tutt'altro che momorabile "Attacco al potere 2"), Proud Mary presenta un inizio artificioso ma accattivante che ci ricorda, per stile ed ammiccamenti, l'omaggio alla blaxploitation tarantiniana del magnifico Jackie Brown: ma in quest'ultimo l'omaggio persevarava, qui la sensazione piacevole ed accattivante dura solo qualche minuto. Poi il film scivola nella posizione di un remake rigorosamente e sin ostinatamente "all-black" alla Spike Lee poco ispirato di Gloria, durante il quale si assiste ad una vicenda movimentata, ma anche assai prevedibile se non scontata.

Attendiam speranzosi e con ansia l'avvio della supposta travolgente canzone di Tina Turner, Proud Mary appunto, misto di rock and roll, blues, gospel e soul del tutto trascinante, specie se proveniente dalla voce cavernosa ed inconfondibile della Turner; canzone che per fortuna arriva, dando smalto e ritmo indiavolato almeno all'ultimo duello finale, a tutti gli effetti accattivante, con buona pace di una super Maserati letteralmente violata nelle sue magistrali linee, e crivellata di colpi.

Tra gli interpreti spicca la dinamica Taraji P. Henson, già vista nel melenso e sin troppo politically correct "Il diritto di contare", ed un anzianissimo, mellifluo ma spietato ed infingardo Danny Glover nel ruolo del patriarca della famiglia di malfattori arricchiti e potenti.

Carino e per nulla piagnore il ragazzino che interpreta il co-protagonista, baby truffatore dalla carriera assai promettente, ma anche bambino dal cuore d'oro quando si tratta di pensare al vero futuro verso cui protendere.

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