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Una gita scolastica

Regia di Pupi Avati vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Una gita scolastica

di pippus
10 stelle

-Tempus fugit

 

“…e, del resto, non possono esserci lunghi intervalli in una cosa che nel suo complesso è breve. La nostra vita non dura che un attimo, anzi meno di un attimo; ma la natura si è presa gioco di noi, dando a questo minimo arco di tempo l’apparenza di un tempo abbastanza lungo: di una parte di esso ha fatto l’infanzia, di un’altra la fanciullezza, di un’altra l’adolescenza, di un’altra l’età che declina dall’adolescenza alla vecchiaia, di un’altra, infine, la vecchiaia stessa. Quanti gradini in uno spazio così breve!”

Seneca: lettera 49 a Lucilio, par. 3

 

                                          

 

E’ mia convinzione che questa bellissima opera di Avati fin dal suo incipit si apra sottilmente ma con determinazione al filone intimista fin qui solo sfiorato dal regista bolognese nel corso delle sue precedenti produzioni.

Una Gita Scolastica pare rientri ufficialmente nel genere commedia, e sicuramente  lo è, ma fin dalla prima visione ho avuto la sensazione che tale definizione sia piuttosto riduttiva.

La sensazione è divenuta poi certezza quando, grazie al coinvolgimento emotivo con il tema proposto, è sorta sempre più la convinzione che ci sia ben altro su cui riflettere!

 

     Appunto riflettendo

Se Avati avesse proposto il film a partire dal quarto minuto per poi interromperlo prima dell’ultimo (trattando quindi solo l’episodio gita), probabilmente la letteratura su quest’opera, ovvero commenti, opinioni e critiche varie, si discosterebbe ben poco da quanto tuttora disponibile. E questa realtà ha una sua giustificazione in quanto la struttura tecnico-artistica, - l’ “architettura” del film - è essenzialmente compresa nel vissuto del gruppo classe nel corso della gita, apparentemente vera ossatura del film. I restanti quattro minuti potrebbero trascorrere quasi inosservati. Ma, sottolineo, potrebbero!

 

Indubbiamente alla prima visione l’attenzione viene catalizzata dagli eventi  - ora felici, ora infelici - occorsi ai partecipanti alla gita ma, optando per un’eventuale seconda visione, questa potrebbe essere più fortunata nel mettere in luce nuovi e più significativi elementi non sempre palesi nell’immediato.

 

    Considerando il titolo: “Una Gita Scolastica

Una o, nella fattispecie, La gita scolastica.  Potremmo ritenere questa il sottotema del film; il tema che si palesa a uno sguardo più attento è un altro, e molto più profondo.

Mi immagino questo sottotema, ovvero il ricordo della gita, come una bolla di sapone contenuta all’interno di un’altra bolla, quest’ultima però di vetro e quindi anch’essa fragile ma di ben altra consistenza; a quest’ultima è riservato quell’esito che non avrà inizio fino al momento in cui, incrinandosi,  permetterà alla bolla interna, effimera e cangiante, di dissolversi  in un… puff.

Paradossalmente Avati dedica alla bolla effimera il 95% della pellicola e solo il restante 5% all’altra, ma proprio in questo consiste l’intelligente espediente escogitato dal regista: nel 5% si cela il significato filosofico/esistenziale da lui ricercato e sottilmente trasposto - in rapporto ai minuti dedicati - in maniera inversamente proporzionale a quanto lo spettatore si ritrova nel corso della visione.

 

 

    L’input

Laura, ottantaquattro anni, è l’ultima testimone di un evento risalente al 1914 quando, con l’entusiasmo dei diciottenni, insieme ai suoi compagni partecipò alla gita scolastica della sua classe, la terza G del liceo classico Galvani di Bologna.

In programma l’attraversamento a piedi dell’Appennino tosco-emiliano per raggiungere Firenze e successivo rientro a Bologna in treno.

 

     Il film

Fatica pluripremiata di Avati anche grazie al coinvolgimento di un superlativo e, purtroppo, compianto Carlo Delle Piane che, più che mai in quest’occasione, ha saputo coniugare i suoi simpatici lineamenti - non proprio in linea con i consueti canoni dell’avvenenza - con una superba recitazione che gli ha permesso di brillare di luce propria per tutta la durata del film. Di luce riflessa, seppur anche questa per nulla fioca, ritroviamo in primis l’avvenente (lei sì) Tiziana Pini, nonché vari comprimari, quali Lidia Boccadoro - nelle vesti della giovane Laura - e un giovane e simpatico Nick Novecento il quale, qui alla sua prima apparizione cinematografica (al momento ancora con il suo vero nome Leonardo Settani), diverrà in seguito uno tra gli attori preferiti dal regista.

Purtroppo, com’è noto, Nick ci lascerà quattro anni dopo, a soli ventitre anni, stroncato da una malformazione cardiaca.

                                                        

 

     Sulla “bolla interna”, unica e lunga analessi protetta dalla “bolla esterna”:

 

Primavera 1914, vigilia del primo conflitto mondiale.

In vista della programmata gita a Firenze, accompagnatore designato sarà il prof Carlo Balla, docente di lettere particolarmente apprezzato dai suoi studenti, nonché una delle “colonne portanti” del liceo stesso. Nel corso delle previste tre giornate gli sarà di aiuto, in veste di secondo accompagnatore, la prof.ssa Serena Stanzani, l’affascinante collega di disegno la cui bellezza per poco non gli era stata fatale quando, a inizio anno scolastico, si era presentata per la prima volta proprio mentre lui si trovava in cima alla scala a pioli della biblioteca.

Avati ci gratifica con una accuratissima - potremmo definirla magistrale - scenografia dell’epoca, a partire dai costumi e dagli esterni ai quali si aggiungono la cura delle riprese e il particolare fascino della fotografia attraverso le località incontrate nel corso della camminata.

C’è un secondo innamoramento da ricordare, quello della giovane Laura, allieva non bellissima ma con un debole per Angelo, il più bello della classe, il quale, almeno per il momento, non parrebbe interessato a condividerne il sentimento.

Oggetto della gita non sarà la visita del capoluogo toscano, bensì i tre  giorni di escursione attraverso l’Appennino nel corso dei quali una serie di vicende, alcune piacevoli e altre meno, determineranno la cronistoria dell’avventura collettiva.

Partenza dal piazzale antistante il liceo (il Galvani di Bologna, già altre volte caro al regista) e successiva prima tappa all’eterea magione dell’inventore Marconi. Fin da subito la sceneggiatura evidenzia, a volte in maniera fin troppo eclatante ma in linea con il contesto dell’epoca, le curiose dinamiche tra i sessi comprendendo i due accompagnatori e, ancor più, gli adolescenti al loro seguito mai così euforici in vista di quelle che dovrebbero essere le loro prime - e attesissime - esperienze di vita al di fuori della famiglia.

Con il verde degli Appennini a far da cornice, fin da subito non si fatica a intuire l’indole chiusa, timida e impacciata del prof Carlo Balla. Serena, per contro, forte dell’innata intuizione femminile, assume un atteggiamento ambiguamente civettuolo (se ne comprenderanno in seguito le motivazioni) e lui, pacatamente e senza remore ma nel contempo in agitazione per l’inatteso tema del colloquio, confessa di non aver mai avuto relazioni con l’altro sesso. Anzi, nonostante i suoi quarantasei anni di età vive tuttora con la mamma.

    Alcuni estratti del dialogo sono esplicativi:

“E’ sposato?”,  “Scherza?”, ”Perché, che cos’ha contro il matrimonio?”,  “Niente, non ho niente contro il matrimonio, è che bisognerebbe chiedere a lui cos’ha contro di me!”

Per poi candidamente confessare: “Il fatto è che io ho verso le donne un sentimento diverso.” “Quale?”,  …  “Paura!”

Con tutto ciò, la considerazione che Serena nutre nei suoi confronti parrebbe sincera e, se dapprima l’apprezzamento a lui rivolto ingenera un effetto misto tra lo stupore e il gaudio, questo stato d’animo – alludo all’effetto -  virerà sul dirompente/perturbante allorquando l’irresistibile collega rivelerà il suo peccaminoso proposito in rivalsa dell’infedeltà del marito!

 

    Breve parentesi sull’epilogo Carlo/Serena.

 Purtroppo il prosieguo della vicenda lascerà Carlo profondamente amareggiato e, pur con tutte le attenuanti dovute alle vicissitudini coniugali, quello che la bella collega gli ha riservato non è stato un atteggiamento eticamente impeccabile (ometto i dettagli per non spoilerare proprio tutto, anche se presumo non siano molti quelli che ancora non hanno avuto il piacere) .

Proprio in seguito alle parole, alle movenze e ai civettuoli ammiccamenti a lui rivolti, quanto successo nell’ultima serata trova ben poche giustificazioni e, per lo stesso motivo, non si può ritenere biasimevole nemmeno l’intervento del preside il quale, in forza della figura da lui rappresentata, non poteva certamente esimersi dal rimarcare ciò che era ormai di pubblico dominio.

Ma l’amour fou trionfa su tutto e, grande sorpresa, in primis per lui - e poi per tutti noi -, Carlo Balla recupera un coraggio che mai avrebbe sospettato di possedere quando, esponendosi temerariamente tra lo sbigottimento dei colleghi, osa dapprima contestare nientemeno che il preside nel corso della riunione preesame, e poi, incurante di rischiare il licenziamento, prelevare letteralmente Serena e con lei scendere in strada! Quella che segue è una delle scene più toccanti e nel contempo più tenere del film, ovvero gli studenti della terza G che dalla finestra dell’aula vedono i due e, superato il primo attimo di incredulità, con un applauso suggellano la rivalsa del loro amato professore!

Aggiungo io: grazie a qualche strana quanto insospettabile alchimia tra le affinità elettive, anche Carlo finalmente si ritrova coinvolto nel quotidiano rischio che molti accomuna, ovvero quello del passare dalla felicità all’infelicità a opera della stessa “mano”. Nell’immediato però,  riguardo alla mano, ha un solo pensiero: la sua per la prima volta è in quella di una donna e… che donna!

 

    Dopo un paio di visioni si impone una puntualizzazione:

se le sequenze sopra riportate vedono un’eccellente recitazione da parte della protagonista Tiziana Pini, è mia convinzione che le performances di Carlo Delle Piane - possibili grazie alla sua non convenzionale bravura, non a caso giustamente premiata - siano percepibili appieno e unicamente attraverso la visione del film in quanto, come nel cinema a volte capita, nessuna descrizione scritta o orale potrebbe mai rendergli giustizia!

 

Come sopra accennato, nel corso delle tre giornate di camminata Avati ci gratifica con una serie di sequenze immerse in quell’aura di delicata dolcezza che, oltre ad attenuare l’intrinseco amaro di alcune situazioni, ben si amalgama con la suggestiva e briosa colonna sonora di Riz Ortolani.

Impossibile un resoconto totale ma, oltre alla vicenda Carlo/Serena, un cenno alle più significative è doveroso!

 

     Avanzando in direzione Firenze (errori di percorso compresi).

 

L’arrivo all’albergo Castello Manservisi, dov’è previsto il primo pernottamento, ha dell’incredibile ma, poco prima, è degno di nota altresì l’incontro con il matrimonio campestre, o perlomeno di questo parrebbe trattarsi: marito e moglie sulla quarantina in abiti nuziali, sdraiati supini su un carro scoperto e adornato di fiori trainato da due buoi. Visione per un attimo esaltante, ma solo per il primo attimo in quanto i due…  sono morti, quindi non di matrimonio si tratta ma di coreografico doppio funerale. Non è dato conoscere il motivo della dipartita ma l’effetto sorpresa è garantito.

L’ingresso al castello riserva invece una trovata forse eccessiva ma spettacolare, una sequenza davvero d’altri tempi per soddisfare una condizione ineludibile dettata dal direttore: a tutela dell’igiene contro i pidocchi, tutti, ma proprio tutti, prof compresi, dovranno farsi un bagno nelle tinozze approntate allo scopo sotto gli alberi. Euforica operazione alla quale seguirà la disinfezione degli abiti e successiva esuberante corsa in deshabillé fino ai piani delle camere.

La sera purtroppo riserva un episodio non tra i più edificanti, ovvero: le ragazze, già deluse dall’accordo non rispettato dai ragazzi in merito all’appuntamento previsto per il dopo cena, dopo opportune indagini si recano in quello che credevano un albergo nelle vicinanze e qui, con ancora maggior  scoramento, li trovano in intima compagnia delle disinibite signorine Manaresi! 

 Scena piuttosto schietta e dolorosa dalla quale però si evince come Avati armonizzi o, meglio, bilanci la spensieratezza delle precedenti sequenze evidenziando alcune fasi critiche dell’età con i relativi passaggi, purtroppo non sempre immacolati, che tali fasi comportano.

 

Arrivati alla casa natale del prof. Balla, quest’ultimo, incitato dagli allievi a salire su uno sgangherato ring scovato dietro casa, si esibisce in una performance a ricordo dei vecchi tempi in cui praticava la boxe. Sequenza da sballo di nome e di fatto! Il povero Carlo, dopo i primi arditi scambi, si ferma, barcolla e, ohibò, finisce a terra sostenuto dagli allievi. Il resto lo lascio all’immaginazione!

 

    Laura e Angelo.

Laura chiacchierando di sera con le amiche: “Io non posso credere che una donna possa fare dei regali a un uomo per conquistarlo!”

Ma il giorno dopo è un nuovo giorno e, in barba alle parole della sera prima, Laura si “compra” una giornata di felicità rinunciando all’orologio da taschino lasciatole dal papà. Ne era valsa comunque la pena: Angelo, l’adone della classe, tutto il giorno per lei tra l’invidia e lo stupore delle rivali (d’altronde la sera prima i ragazzi si erano comportati allo stesso modo “acquistando” le attenzioni delle gentili signorine Manaresi, per cui ora il senso di colpa dovuto a questo suo “acquisto” risultava notevolmente attenuato dal precedente dei furbetti compagni)!

 

    Novecento, proprio lui, Nick!

La sua parte nel film potrebbe essere vista oggi con occhi diversi conoscendo i successivi trascorsi, per cui, onde pervenire a un giudizio incondizionato, mi sono imposto una “temporanea amnesia” concentrandomi per due visioni consecutive sulla famosa partita a carte. Non posso garantire che l’amnesia sia stata assoluta, posso in compenso garantire che Nick fosse davvero forte, di una forza simpatica “a pelle”, espressa in maniera talmente naturale da non poter non piacere allo spettatore dell’epoca; allo stesso modo, e a maggior ragione, non può non emozionare lo stesso spettatore oggi!

                                                

 

 

      Sulla “bolla esterna”, quella meno effimera ma comunque di vetro

 (A questa è riferito l’estratto introduttivo dalla lettera di Seneca)

                                                                     

1914: quella sarebbe stata l’ultima sera della gita e Laura, inebriata, stava meditando che le prossime ore non le avrebbe mai più scordate. L’emozione dell’attesa era indescrivibile!

 

      Sessantasei anni dopo, 1980, ultimo minuto del film.

Laura è l’ultima dei partecipanti ancora in vita, non è rimasto nessun altro con cui poter dialogare dell’esperienza vissuta, e ormai può solo confidare il suo ricordo a terzi, i quali, non essendo stati presenti, non possono condividere il ricordo allo stesso modo. E’ l’esempio del “libro”: leggiamo di situazioni e apprendiamo nozioni ma non è come esserci stati di persona! Possiamo prendere atto di quanto fossero squisite le madeleine che il piccolo Marcel gustava ogni domenica, è lo stesso Proust a raccontarcelo in un famoso passaggio della sua Recherche, ne scrive con tale dovizia di particolari che al lettore pare di gustarle con tanto di acquolina ma… non è così, non le possiamo gustare, ci dobbiamo accontentare dell’immaginazione, e non è la stessa cosa.

Ora è quasi l’alba. Il giorno precedente Laura si era sentita male in banca e ora, dopo una notte non proprio tranquilla, la mdp la sta inquadrando sdraiata in uno stato di semincoscienza quando, improvvisamente, l’anziana signora è destata da una voce: è quella di quel simpaticone di Enzo.

La mdp cambia inquadratura, lo riprende mentre apre la porta della camera dicendo: ”Laura dai, forza che è tardi, sei sempre l’ultima, ci sono gli altri che ti aspettano”! La mdp si volta nuovamente verso di lei ma… non è piu la stessa, è cambiato qualcosa, ora quella che vediamo è Laura diciottenne che risponde: ”sì, eccomi Enzo, arrivo!”

“E così, unica custode di quel giorno primaverile del ’14, fu l’ultima a partire, attraversò boschi e risalì sentieri prima di raggiungere gli altri e finalmente ritrovarsi nuovamente tutti insieme. Nessuno era rimasto indietro a ricordare, e quella loro gita ora poteva essere dimenticata per sempre!”

Una sola parola: sublime!

 

     Un paio di postille da spunti ormai irreperibili.

Dobbiamo esserne coscienti, il tempo della nostra vita ci sfiora solamente e va a sommarsi alle altre particelle di eternità; tra queste ci sono gli amici, loro non muoiono ma, “ci” muoiono;  fin che saremo in vita una tremenda forza ci priverà della loro compagnia, eppure dovremo continuare a vivere con quel vuoto fino alla nostra ora!

 

Il messaggio di Avati va ben oltre la vicenda gita, in quest’opera osa più di quanto abbia osato fin’ora inoltrandosi su un terreno filosofico con sconfinamento sul piano teologico.

Il primo ci immerge nella natura misteriosa del tempo, dove il presente non esiste per lasciare spazio solo al passato e al futuro. Tutto scorre e noi, nel frattempo, ci relazioniamo con coloro con cui condividiamo l’esistenza, ma sempre in chiave dinamica; le interazioni odierne domani saranno un ricordo, e quelle di domani, nell’attimo in cui le vivremo, entreranno a loro volta nel bagaglio dei ricordi.

E noi nel frattempo che parte rappresentiamo all’interno del Tutto? Di quel Tutto che ci circonda e le cui origini sono oggetto delle classiche domande esistenziali da quando i nostri antichi progenitori, prendendo gradualmente coscienza di sé, iniziarono a porsele e alle quali conseguentemente seguì la Domanda per eccellenza: “Ci attenderà qualcosa dopo la morte?  E se così fosse, in che cosa consisterà questo qualcosa?”

Da allora l’atavica Domanda è sempre lì, sempre la stessa, e la risposta consolatrice di Avati rientra in ambito fideistico: Laura nel corso della vita potrebbe aver riferito per iscritto i suoi ricordi, oppure aver reso partecipi figli e nipoti, ma solo ora, con l’ultimo afflato da questa vita, potrà riaprirli catarticamente in quell’altra. Tornerà a far parte della sua classe, la terza G finalmente al completo; potrà nuovamente commentare l’esperienza condivisa e ci saranno tutti, professor Balla e professoressa Stanzani compresi!

 

E io cosa potrei commentare ancora? Assolutamente nulla oltre al solito sapere di non sapere. Ma per tutti, scettici e credenti,  “speranti” e non “speranti”,  impossibile non commuoversi!

 

 

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