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L'albero del vicino

Regia di Hafsteinn Gunnar Sigurðsson vedi scheda film

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La recensione su L'albero del vicino

di alan smithee
6 stelle

Tra vicini di casa è più facile odiarsi e farsi del male, che andare d'accordo: la sfera di intimità che inevitabilmente il vicino di casa viola e lesiona, spesso inconsapevolmente, con atteggiamenti e comportamenti che non rispettano in modo perfetto le esigenze del proprio dirimpettaio, portano, se prolungati nel tempo, rimuginati, rielaborati entro una prospettiva sempre più personale e sempre meno oggettiva, a dar luogo ad atti di sfogo e ad iniziative giustizialiste dalle quali trapela e si esplicita tutta la brutalità di cui l'essere umano, anche educato secondo i principi più sani della tolleranza e della mutualità, è intrinsecamente dotato, spesso anche a sua parziale od incompleta insaputa.

Assistiamo ad una grave crisi familiare che si materializza dal nulla quando il padre di famiglia - ingenuo se non fesso - si fa scoprire dalla moglie mentre guarda di nascosto un video pornografico amatoriale in cui i protagonisti sono lui e la migliore amica della consorte: inevitabile che quest'ultima, devastata dalla sorpresa, pretenda che il marito si allontani da casa; meno scontato che si preoccupi di togliergli anche l'affidamento della figlia ancora bambina.

Tornato a vivere con i genitori in un complesso residenziale fuori dal centro, l'uomo tuttavia comprenderà a sue spese che la propria è una situazione all'acqua di rose in confronto alla relazione che si è instaurata tra i suoi due anziani genitori ed i propri dirimpettai, due quarantenni che da tempo stanno cercando di trovare il modo di procreare, anche se inutilmente.

L'ombra che un immenso albero proietta su un angolo della casa, se per i proprietari è indice di sollievo e garanzia di gradevolezza per l'ambiente, diviene un problema per i vicini, invasi da un'ombra che gli stessi ritengono eccessiva, chiedendo a gran voce almeno una sostenuta potatura della pianta.

da quel momento i rapporti tra le due famiglie degenerano, ed indizi peraltro fuorvianti come la sparizione del gatto obeso dei primi, instilla un desiderio di vendetta da parte di costoro, ed una rivalsa che cnduce la contesa oltre ogni limite non solo lecito, ma anche ipotizzabile.

Terzo film del bravo regista islandese Hafsteimm Gunnar Sigursson, quello del valido e tenero Either Way che vinse al TFF nel 2011 e venne apprezzato nel mondo tanto da produrne un remake americano con Paul Rudd (Prince Avalanche del 2013), sonda in profondità i disagi di una convivenza forzata tra esseri civili che perdono, costretti entro questo vincolo imposto dal destino, il reale senso della convivenza secondo principi civici consolidati, che rientrano peraltro ampiamente nelle rispettive culture di entrambi.

Vista da uno sguardo esterno di una persona, quella del marito fedifrago, che doveva essere quella afflitta da veri problemi e cercare di trovare una serenità tale da affrontare la grave situazione di sfascio familiare, la disputa in crescendo man mano che i sospetti reciproci alimentano le azioni inconsulte dei due contendenti, assume toni sempre più grotteschi e foschi, che portano ad una azione distruttiva che forse diviene l'unica soluzione concreta per porre termine ad un dissidio profondo come quello di una faida senza possibilità di conciliazione.

Validi gli interpreti coinvolti, diretti con mano sicura e acuto spirito di osservazione da un regista che evita manierismi e eccessi, non senza dare enfasi a situazioni quasi surreali o al limite del grottesco. Vedere per credere.

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