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Beach Rats

Regia di Eliza Hittman vedi scheda film

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La recensione su Beach Rats

di mck
8 stelle

Topi da spiaggia.

 

 

Spariscono nel buio, inghiottiti dalla limitata fotosensibilità del mezzo di ripresa, ma non dello sguardo di Eliza Hittman, che, mentre li abbandona e li lascia proseguire nella notte tra le frasche e la risacca, con l’aiuto della fotografia di Hélène Louvart (che, dopo aver lavorato con Claire Denis, Léos Carax, Agnès Varda, Wim Wenders e Alice Rohrwacher - “Corpo Celeste”, “le Meraviglie”, “Lazzaro Felice” e il prossimo “la Chimera”- tornerà ad impressionare pellicola, sempre da 16mm, per la regista in “Never Rarely Sometimes Always”) li tenebrizza come Philippe Grandieux (“White Epilepsy”, “Meurtrière”) e Jonathan Glazer (“Under the Skin”, “the Fall”) fanno nei loro quadri in movimento con i corpi dei loro attori, Frankie e i suoi non-amici, e lui più di loro, con la sua identità fluida e sfocata, e non solo quella meramente sessuale (“Non so cosa [“chi”; NdR] sono...”, un maschio che fa sesso con altri maschi senza essere omosessuale, eccetera eccetera, LGBTQIA+ e via con tutte le altre lettere dell’alfabeto e caratteri speciali): sterili, annoiati per stupidità e non per intelligenza, e quindi noiosi, ridondanti, banali, sono i “Brooklyn Boy” (rive droite, rive gauche e pure Isola Tiberina, toh), e le loro giornate abitate da ossicodone sniffato a sbafo, tali e quali, contraltare (montaggio di Scott Cummings con la collaborazione di Joe Murphy) speculare, ai fuochi artificiali che ogni fottuta notte estiva trapuntano il cielo nero sopra alla Wonder Wheel che punteggia il boardwalk di Coney Island e detonando (le musiche minimali ed “impercettibili”, perfettamente inserite/utilizzate, sono di Nicholas Leone) passano loro attraverso senza illuminarli.

 


Era una caldissima giornata di luglio. Il Riccetto che doveva farsi la prima comunione e la cresima, s’era alzato già alle cinque; ma mentre scendeva giù per via Donna Olimpia coi calzoni lunghi grigi e la camicetta bianca, piuttosto che un comunicando o un soldato di Gesù pareva un pischello quando se ne va acchittato pei lungoteveri a rimorchiare. Con una compagnia di maschi uguali a lui, tutti vestiti di bianco, scese giù alla chiesa della Divina Provvidenza, dove alle nove Don Pizzuto gli fece la comunione e alle undici il Vescovo lo cresimò. Il Riccetto però aveva una gran prescia di tagliare: da Monteverde giù alla stazione di Trastevere non si sentiva che un solo continuo rumore di macchine. Si sentivano i clacson e i motori che sprangavano su per le salite e le curve, empiendo la periferia già bruciata dal sole della prima mattina con un rombo assordante.
PPP – Ragazzi di Vita – 1955

Tommaso, Lello, il Zucabbo e gli altri ragazzini che abitavano nel villaggetto di baracche sulla Via dei Monti di Pietralata, come sempre dopo mangiato, arrivarono davanti alla scuola almeno una mezzoretta prima.
Lì intorno c’erano già però pure altri pipelletti della borgata, che giocavano sulla fanga col coltellino. Tommaso, Lello e gli altri si misero a guardarli, accucciandosi intorno, con le cartelle che strusciavano sulla fanga: poi vennero due o tre con una palla, e gli altri buttarono le cartelle sopra un montarozzetto, e corsero dietro la scuola, nella spianata ch’era la piazza centrale della borgata.
PPP – Una Vita Violenta – 1959

 


I giovani adulti white trash protagonisti dell’opera seconda - dopo “It Felt Like Love” - scritta e diretta da Eliza Hittman, capitanati dal primo defilato/trasversale tra i pari, l'eccellente Harris Dickinson (“Trust”), mentre il cast è completato dall’ottima Kate Hodge, dalle brave Madeline Weinstein (“Hair Wolf”, “Mare of Easttown”) e Nicole Flyus (esordiente, e ad oggi rimasta tale), e, tra gli altri, da Harrison Sheehan, non sono né ragazzi né di vita, e la loro non è prettamente una vita violenta, almeno fino a quando un atto estemporaneo di brutale furia non la rende tale, ma il già citato sguardo della cineasta post-pasoliniano lo è.

* * * ¾  

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