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The Donor

Regia di Qiwu Zang vedi scheda film

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La recensione su The Donor

di GIANNISV66
8 stelle

Nel contesto della Cina contemporanea, travolta da uno sviluppo economico spietato e disumano, Zang Qiwu porta in scena una vicenda che è al tempo stesso analisi e denuncia dei limiti della morale umana, da una parte di fronte alle lusinghe del denaro e dall'altra annichilita dalla disperazione quotidiana.

 

La Cina, nazione dall'economia rampante dove il verbo del capitalismo ha sostituito le illusioni (e le delusioni) del socialismo reale, è un paese dalle basi fragili. I grattacieli slanciati verso il cielo sembrano l'emblema di un futuro assai prossimo (se non già attuale) da dominatori del pianeta, ma alle fondamenta di quelle architetture così abbaglianti si trova un microcosmo fatto di abitazioni misere e di persone in lotta per sbarcare il lunario e mettere insieme il pranzo con la cena.

Zang Qiwu indugia con la macchina da presa sulla squallida vita di Yang Ba, riparatore di motorini in una officina alloggiata in una baracca ai lati della strada, per poi elevarsi sopra la città, una qualunque delle megalopoli che ormai costituiscono il panorama urbano della Cina contemporanea, e spaziare tra le gigantesche sopraelevate, monumenti di cemento armato funzionali alla gestione un traffico dalle dimensioni spaventose, sotto i cui piloni si aggira la povera umanità di cui fa parte il protagonista.

Una soluzione stilistica che rende appieno lo stridente contrasto fra quello che sembra la Cina oggi, o meglio vuole apparire (gigante economico in inarrestabile ascesa) e quello che è realmente.

Yang Ba (un Ni Dahong dallo sguardo tremendamente rassegnato, forse troppo) ama la sua famiglia ma il suo modesto lavoro non gli permette di dare a moglie e figlio una esistenza dignitosa.

L'occasione per poter dare una svolta alla propria vita si presenta sotto i modi gentili di Li Daguo, giovane esponente della nuova classe dirigente, in cerca di una soluzione per guarire l'amata sorella affetta da una grave disfunzione renale. Tra Yang e la sorella di Daguo esiste infatti una altissima compatibilità genetica, così l'uomo non esita a privarsi di un rene per poter ottenere quei soldi che dovrebbero garantire un po' di agiatezza alla propria famiglia.

Purtroppo le cose non scorreranno liscie e la vicenda assume ben presto una piega inquietante, con il coinvolgimento del figlio di Yang, abbagliato dalla prospettiva di facile ricchezza.

 

Un film davvero notevole questo The Donor, che getta sullo schermo numerosi interrogativi di natura etica.

E non da un solo punto di vista, si badi bene: Yang e Li sono due disperati, in maniera assolutamente diversa anzi opposta, ma alla fine si trovano sullo stesso piano.

Se da una parte lo spettatore entra in empatia con il primo e si domanda fino a quale punto sarebbe disposto ad arrivare pur di offrire una vita migliore ai propri cari, dall'altra si finisce anche, quasi inconsapevolmente, per calarsi nei panni del “presunto” cattivo, che non ha altro scopo che quello di ottenere la salvezza dell'amata sorella e per farlo non ricorre ad atti di prepotenza ma al potere che gli danno i soldi.

E allora l'interrogativo si capovolge, fino a che punto, se ne avessimo la possibilità (economica) saremmo disposti a ignorare ogni più elementare diritto umano altrui per salvare una persona che amiamo?

Il regista non dà soluzioni, l'amarissimo finale che lascia attoniti può essere letto come la oscura ma ancorché logica conclusione di una storia in cui ogni senso morale viene perso, ma anche come la porta lasciata aperta allo spettatore affinché continui nelle proprie riflessioni.

Pellicola straordinaria dicevamo prima, in cui spiccano i due protagonisti, il giovane Qi Dao negli ambigui panni del ricco Li Daguo, emblema della Cina occidentalizzata e capitalista, e “l'anziano” Ni Dahong, Yang Ba, all'opposto simbolo di quella massa travolta da una economia in divorante espansione di cui è spettatrice inerme e spesso pure vittima.

Ni Dahong la cui interpretazione, come osservato più sopra, pare limitata dalla espressione monocorde che ha stampata sul volto per tutto il film e che inficia sul risultato complessivo; espressione che tuttavia risulta tremendamente funzionale a quello che sarà il finale.

 

 

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