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Mamma mia che impressione!

Regia di Roberto Savarese vedi scheda film

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La recensione su Mamma mia che impressione!

di lamettrie
8 stelle

Un bel film, molto meno ingenuo di quanto sembri. Commerciale lo è sicuramente, perché si sorride sempre, e c’è velocità e trama (per quanto sia una trama da cartone animato semplice semplice, per intenderci, come confermato anche dalla colonna sonora; nel ’51 c‘era molto più candore che oggi, almeno sui mass media). Ma c’è molto di più: il tipo psicologico incarnato da Sordi. Il quale, come è noto, qui a 31 anni tentava la sua prima parte da protagonista sul grande schermo, riproducendo fortunate gag radiofoniche. Sua anche la sceneggiatura, niente meno che assieme a Zavattini; il tutto sotto la produzione di De Sica.

Padri nobili per un’opera che non delude, in quanto mostra forse il volto più vero di ciò che Sordi ha voluto manifestare, pur nelle innumerevoli sfaccettature che ha saputo mettere in mostra, come quant'altri mai, almeno nel cinema italiano. Il protagonista è un bambinone: egocentrico, pieno di fiducia nelle proprie possibilità. Il paradosso, istruttivo tanto quanto evidente, è che rimane sicuro di sé proprio nonostante le continue smentite che riceve dalla realtà. È insopportabile; a buon diritto, quasi tutti quelli che ci hanno a che fare lo scantonano, non senza averlo prima insultato. Eppure ciò non scalfisce la sua fiducia. Il suo personaggio è didascalico: da imitare per la ingenua sicurezza in sé e nel ruolo che cerca di avere del mondo, un ruolo che gli permetta di non fermarsi di fronte a scacco alcuno; da non imitare, invece, per la sua incapacità di leggere gli stati d’animo altrui, per la sua invadenza che non lo porta a comprendere le conseguenze che i suoi atti hanno sugli altri.

Grandioso, e ben più che semplicemente completo, è già il campionario di smorfie, gesti e azioni di Sordi: che sulla scena anticipa tutto e tutti, e plasma la realtà come egli vuole che sia, incurante degli ostacoli che si possono frapporre in mezzo ai propri obiettivi; o, per essere più precisi, più forte di tali ostacoli, anche se ciò poi risulta reale solo nella propria immaginazione, alla fin della fiera. Il genio sordiano qui compone una figura di un emarginato felice. Il classico “tipo”: nel suo caso, un po’ effeminato, ma eterosessuale; un po’ ritardato, ma non certo disabile; cattolico praticante, ma apparentemente del tutto libero di testa. Una figura soddisfatta di sé, che riecheggia l’Emilio di Rousseau, per la sua indipendenza fiera e sempliciotta, non ancora corrotta, che nel centro Italia si riscontra più frequente che altrove; ma che forse rimanda ancor di più al fanciullo descritto da Nietzsche, quel tipo umano non ancora rattristato dalla morale, che non si risente, non si rannuvola mai proprio perché vuole semplicemente giocare: e dunque godere, nella vita.

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