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La seconda volta

Regia di Mimmo Calopresti vedi scheda film

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La recensione su La seconda volta

di LorCio
7 stelle

Prima di preferire il rumore del mare Calopresti remava da fermo attraverso il corpo nervoso e morbido al contempo di Nanni Moretti. Alberto Sajevo, interpretato dal fu Michele Apicella, si allena in una piccola piscina a remare da fermo e quando arriva il momento di tornare al fiume scappa davanti all’ostacolo. Quante cose sono scorse in quel fiume, in quel placido Po che corre nella fredda e borghese Torino. Un divorzio, una cattedra universitaria, una sorella premurosa. E una pallottola conficcata nel cranio da una terrorista, quando lui era uno dei responsabili dei licenziamenti della Fiat. Colpirne uno per educarne cento, come si diceva una volta. Ora quella terrorista esce dal carcere, lavora, va a trovare i genitori. Cosa fare?

 

 

Quanti messaggi in ottanta minuti. Sarebbe stato meglio fosse durato di più, ma in definitiva l’esordio di Mimmo Calopresti promette bene. La seconda volta è uno dei film italiani più importanti sulla memoria degli anni di piombo (forse anche tra i pochi). Piombo che abbiamo sotto la pelle anche materialmente, perché la pallottola di Sajevo è il simbolo degli omicidi politici, degli attentati, dei sequestri operati da rossi e neri in quella stagione così drammaticamente ed ottusamente segnata dall’odio. Riconciliarsi con quel periodo è quanto di più difficile possiamo fare, dato che abbiamo di fronte agli occhi ogni giorno la complessità di spingere la notte più in là. Il rapporto vittima-carnefice non è superabile facilmente. Sajevo, vittima, istintivamente vuole essere nemico. Non cerca la vendetta, che sarebbe un sentimento almeno comprensibile nella sua situazione – siamo pur sempre umani, biologicamente imperfetti. Cerca lo scontro, una terapia d’urto atta ad un solo obiettivo: non dimenticare.

 

 

La paura di Sajevo è che tutti dimentichino quel che è davvero successo in quella stagione, rimbambiti dalle chiacchiere dei carnefici che si presentano nei libri rievocativi come vittime del sistema e storditi dal silenzio forzato delle vittime che, per dignità e rispetto, stanno zitte per non soffrire ancora. C’è la necessità della denuncia di una mancanza di memoria che è evidentemente molto accesa negli autori e anche nel suo protagonista. Sia Sajevo che la terrorista Lisa sono archetipi di questo Paese malato perché sono persone incapaci di superare il passato e spingere quella famosa notte più in là, entrambi segnati per sempre dall’impossibilità di una nuova vita. Hanno ormai i destini segnati.

 

 

Tra pedinamenti morbosi e conflitti brutali e cerebrali, il rapporto tra i due protagonisti (fotografati con realismo limpidissimo ed opaco al contempo da Alessandro Pesci) è basato essenzialmente sulla forza interpretativa dei due protagonisti (senza sottovalutare il sommesso coro dei comprimari capitanato da una Marina Confalone sotto le righe, premiata con un David di Donatello), speculari per come lui aggiunga e lei tolga. Se l’ottima Valeria Bruni Tedeschi (Donatello come miglior attrice) agisce di sottrazione, portando in volto tutta la vergogna dei terroristi che hanno voluto rimuovere il passato, in un’interpretazione carica di nitida sensibilità, il sublime Nanni Moretti regge il film con estrema nervosità, lucido fremito e vigorosa rassegnazione emotiva in una delle prove più intense del suo particolarissimo percorso d’attore. Un film in apnea, da vedere tutto d’un fiato per riflettere una volta di più sulla banalità del male.

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