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Basta vincere

Regia di William Friedkin vedi scheda film

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La recensione su Basta vincere

di cheftony
7 stelle

Because this ain't about education! It ain't much about winning and it sure as hell ain't much about basketball! It's about money! Just goddamn money! That's what it's about, Ed. And I bought into it.”

 

Pete Bell (Nick Nolte) è il focoso coach di basket dei Dolphins della (fittizia) Western University di Los Angeles, che ha appena chiuso – per la prima volta nella sua onorata carriera – con un record negativo, ovvero inferiore al 50% di vittorie.

Per scongiurare che l'accaduto si ripeta l'anno successivo, Bell e collaboratori si mettono subito all'opera visionando le migliori promesse provenienti dall'high school, individuandole in Butch McRae (Anfernee Hardaway), Ricky Roe (Matt Nover) e Neon Boudeaux (Shaquille O' Neal); i tre ragazzoni, provenienti da situazioni estremamente differenti, sanno di rappresentare l'oggetto del desiderio di molti atenei e in particolar modo l'ala bianca Roe fa emergere una dinamica ai più nota: il recruiting irregolare. I college non possono pagare i giocatori o i loro familiari per convincerli ad unirsi alla squadra, né possono chiudere un occhio sui risultati scolastici pregressi, se questi non consentono l'ammissione all'università.

Coach Bell, di consueto integerrimo e cocciuto, si mette stavolta nelle mani del booster dell'ateneo Happy Kuykendahl (J. T. Walsh), già nell'occhio del ciclone. Arrivano così i doni ai ragazzi e, con essi, la squadra dei sogni per l'anno venturo. Ma Bell deve rendere conto all'ex-moglie Jenny (Mary McDonnell) e soprattutto alla sua coscienza…

 

 

It’s hard to capture in a sports film the excitement of a real game, with its own unpredictable dramatic structure and suspense. I couldn’t overcome that.” [William Friedkin]

 

Blue Chips”, termine traslato dal poker alla pallacanestro per indicare i migliori giovani prospetti, è uno degli sparuti lavori per il cinema di un Friedkin ormai in parabola discendente dopo il fallimentare “The guardian” e relegato alla regia di film per la TV; l'incarico per “Blue Chips” non sembra arrivato per caso: senza peccare di eccessiva malizia, va detto che nel '91 il regista di Chicago si è sposato in quarte nozze con Sherry Lansing, tuttora sua compagna di vita nonché al tempo CEO (amministratore delegato) della Paramount Pictures. “Blue Chips”, maiuscolo progetto da 35 milioni di dollari di budget, è distribuito proprio dalla Paramount.

L'ennesima occasione di rilancio per il talentuoso Billy naufraga, ma non per demeriti suoi, fatto salvo per le ammesse difficoltà nel rendere su pellicola la tensione e lo spettacolo di una partita di basket: “Blue Chips”, ad ogni buon conto, riscuote poco successo di pubblico, scontando qualcosa in termini di appetibilità, non di qualità. Il film ha come protagonista un vulcanico Nick Nolte, coach senza macchia dei fittizi Dolphins del seguitissimo college basketball, nel quale i programmi a lungo termine hanno un'importanza cruciale; i programmi passano inevitabilmente attraverso il processo di recruiting (reclutamento) dei migliori giovani in uscita dall'high school, rispetto a cui i college devono promettere grandi aspettative, che sia per prestigio degli studi o - più spesso - della squadra di basket, in ottica di una carriera cestistica da professionista, magari in NBA.

 

 

In questo processo entrano così in gioco svariate dinamiche, solo superficialmente illustrate anche qualche anno dopo da Spike Lee nel suo “He got game”; ragazzi afroamericani provenienti dal ghetto in cerca di riscatto, situazioni di indigenza, voti modesti per essere ammessi al college e appositamente truccati: sono in molti a cercare di trarre profitto da una simile opportunità, rompendo la regola che impedisce retribuzioni materiali agli studenti o alle loro famiglie. In questo contesto è particolarmente delicata la funzione del booster, figura interna ai college con lo scopo di attirare finanziamenti e supporto: inutile dire che negli anni sono stati parecchi gli scandali di corruzione in fase di recruiting venuti alla luce, proprio come in “Blue Chips”, film dunque non spettacolare sul basket in sé, bensì (retorica) opera di denuncia su un aspetto poco noto a larga parte del pubblico e pur sempre attinente alla pallacanestro collegiale statunitense.

Lo sceneggiatore e produttore di “Blue Chips” è Ron Shelton, nome chiave degli sports film americani, di cui va ricordato (pure da regista) “Chi non salta bianco è”, spassosa commedia del '92 con Harrelson e Snipes, ambientata prevalentemente sui campetti di streetball. Insomma, Ron Shelton è uno che ne sa! Nemmeno Friedkin è digiuno di basket, affatto; fan dei Boston Celtics e innamorato del ball-handling della loro leggendaria point guard degli anni '50 Bob Cousy, il regista di Chicago ha convinto a recitare nel suo film (con risultati più che dignitosi) proprio Cousy e molte altre leggende del parquet: lo storico allenatore degli Indiana Hoosiers Bobby Knight, gli allora giovani Anfernee 'Penny' Hardaway e Shaquille O'Neal (un mastodontico giullare di 150 chili, nato per dare spettacolo dentro e fuori dal campo), Larry Bird nei panni di se stesso ormai ritiratosi. A proposito del grande Larry, degna di nota la sua entrata in scena sulle note della deliziosa “Lookin' out my back door” dei Creedence Clearwater Revival, di cui è senz'altro più celebre l'impiego ne “Il grande Lebowski”. La colonna sonora di “Blue Chips” è curata nientemeno che da Jeff Beck e Nile Rodgers, ma non si ricordano altri momenti musicali accattivanti, ad onor del vero.

Onesto film, ma che gli amanti del basket apprezzeranno sicuramente in misura maggiore.

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