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Marvin

Regia di Anne Fontaine vedi scheda film

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La recensione su Marvin

di supadany
4 stelle

Venezia 74 – Orizzonti.

Tratto dal bestseller Farla finita con Eddy Bellegueule di Edouard Louis, Marvin è un esemplare di cinema francese che mostra i muscoli, con un giovane protagonista già lanciato qual è Finnegan Oldfield (Nocturama, Cowboys), una regista affermata (Anne Fontaine), volti caratteristici a rimpolpare le seconde linee (Grégory Gadebois, Vincent Macaigne e Charles Berling) e una special guest d’eccezione: Isabelle Huppert.

A quelle che sulla carta erano potenzialità a portata di mano, fanno seguito risultati discutibili, incompleti e talvolta addirittura modesti, soprattutto se relazionati all’attesa che il titolo aveva suscitato.

Marvin Bijou (Jules Porier) è alle prese con un’infanzia traumatica, tra una famiglia molto povera guidata da suo padre Dany (Grégory Gadebois) e gli atti di bullismo a sfondo sessuale che subisce a scuola.

Quando casualmente gli si presenta un’opportunità in ambito teatrale, che gli consentirebbe di rompere i ponti con quella vita che tanto lo soffoca, colpisce l’attenzione dei selezionatori e può finalmente iniziare il suo percorso, prima umano e poi artistico, con tanto di nome nuovo di zecca: Martin Clement (Finnegan Oldfield).

 

Jules Porier

Marvin (2017): Jules Porier

 

Come autrice, Anne Fontaine non è una certezza granitica, pur essendo reduce da due opere apprezzate come Agnus Dei e Gemma Bovery. Con Marvin compie almeno due passi indietro, incapace di dosare, valorizzare e gestire un soggetto marcato, così come le era capitato pochi anni fa con Two mothers.

Chi scrive non ha letto il romanzo da cui questa pellicola è tratta, per cui ogni considerazione rimane completamente circoscritta al film che, a prescindere da qualsivoglia considerazione, deve riuscire a camminare sulle sue gambe.

Lo svolgimento prevede due piani temporali, il primo dedicato a Marvin Bijou, il secondo, peraltro anche scomposto su due fasi, inerente a Martin Clément.

Il montaggio li alterna, passando da un’infanzia talmente piena di abusi tali da produrre un disagio plurimo, a un nuovo corso, tra amici affidabili, una storia d’amore con un uomo benestante che lo prende sotto la sua ala protettiva e un’attività teatrale, che lo porta a conquistare ottimi riscontri.

Nel primo caso viene riproposto un viatico che non può evitare di ricalcare modelli noti, anche se alcuni frame con il protagonista in adorazione sui corpi di ragazzi più grandi in piscina costituiscono un sogno a occhi aperti e il quadro familiare è sufficientemente descritto, evidenziando una situazione in piena area degrado. Nel secondo c’è più contorno, ma senza intavolare spunti particolarmente ispirati, anche perché spesso si rimane fermi agli accenni, mentre Finnegan Oldfield collega e completa l’opera con due tipologie di congiunzioni: le confessioni frontali e la fatidica prova sul palco.

 

Finnegan Oldfield, Charles Berling

Marvin (2017): Finnegan Oldfield, Charles Berling

 

In generale, mancano scatti d’impeto e le tematiche che dovrebbero sollevare la discussione sembrano impaludate in una costruzione priva della concreta volontà di sviscerare ciò che pure avrebbe insito tra le sue corde, come il bullismo, discriminazioni di varia natura, la crescita in un ambiente che non concede grosse occasioni e poi ancora l’amore e il teatro, che interpola l’arte e l’esperienza personale di chi lo vive in prima persona.

Queste limitazioni sono dettate anche da una certezza: tutto ruota attorno al protagonista, ma l’autoreferenzialità non è un cardine sufficientemente robusto da assumere il ruolo di unico traino, con un coordinamento che gestisce le due fasi principali lasciando intendere una concentrazione maggiormente orientata all’ordinata disposizione, a discapito di sconfinamenti propositivi e di un’autenticità, due aspetti che s’intravedono raramente.

In un contesto del genere, anche il magnetismo di Finnegan Oldfield rimane parzialmente strozzato, mentre Grégory Gadebois riesce ad essere sgradevole per poi non esserlo veramente fino in fondo e per Vincent Macaigne si tratta di routine senza slanci. Invece, è un freno non aver sfruttato al meglio i pochi minuti di Isabelle Huppert, che interpreta se stessa, un asso nella manica che non smuove l’orientamento della componimento di una virgola.

D’altronde, Anne Fontaine non ha intenzione di forzare la situazione e non osa nemmeno quando ha l’occasione a portata di mano, tanto che Marvin finisce per emanare poche radiazioni, troppo accentrato sulla figura portante, artefatto e fiero di se.

Discontinuo, titubante quando si tratta di insediarsi sottopelle, in parte anche irritante.

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